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Sulle tracce dell'antica Vite Setina |
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a cura di Vittorio Del Duca in
collaborazione con Feliciano Della Mora |
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Sezze, 19 settembre 2021 Vitis Setina, l'antico Cecubo dei Romani Da
Plinio (Naturalis Historiae) e Columella (De Agricoltura) sappiamo di un
“Ager Caecubus” cioè di una vastissima area che dalla Piana di
Fondi si estendeva fino a Itri, Sperlonga e Formia, dove in epoca romana
le viti di cecubo prosperavano spontaneamente. Quei
vitigni, che in queste località ancora oggi sono chiamati
“abbuoto”, furono secondo Plinio (Historia Naturalis) portati a
Sezze e piantati “supra Forum Appii”, ossia nel luogo che la
tradizione popolare ha indicato fino all’Ottocento come “Pantano
Luvenere” a ricordo delle ubertose vigne di uve nere. Questa
fertile porzione della campagna setina è ancora oggi attraversata dal
primordiale tratturo Caniò, dove nel 1980 fu rinvenuto il tempio
arcaico della dea Giunone, nelle cui vicinanze scorre il fosso delle Uve
Nere proveniente dalla collina e il cui nome fu tramutato dal dialetto
di Sezze dapprima in fosso “Uènere” poi in “Uéniero” ed oggi
in “fosso Venereo”. Il
vitigno del cecubo (così chiamato per essere stato trovato da Appio
Claudio il Cieco durante la costruzione della via Appia) una volta
trasferito a Sezze si distinse per qualità, pregio e
celebrità, secondo quella grande distinzione molto comune in
enologia per cui il clima, il terreno, la varietà di vitigno, le
modalità tecnologiche di vinificazione possono portare a
caratteristiche superiori rispetto a quelle del luogo di origine. Infatti,
della bontà e ricercatezza del “vinum setinum”, oltre che Plinio ce
ne tramanda memoria Giovenale, Strabone, Stazio, ma soprattutto Marziale
che ne fu un illustre estimatore, tanto da citarlo numerose volte nei
suoi Epigrammi. Oggi
la “vitis setina” si sta rivalutando con ottime prospettive, grazie
alle aziende vitivinicole di Marco Tomei in via Murillo (limitrofa alle
rovine dell’abbazia di Santa Cecilia) e di Marco Carpineti sulla
spianata del monte Antignana. Sezze, 3 marzo 2017 Recuperato l'antico Cecubo dei romani L’esame molecolare eseguito al CREA-VIT di Susegana (TV) dalla dott.ssa Manna Crespan su presunte viti di cecubo setino, raccolte sul territorio dal presidente della Sezione Coldiretti di Sezze, Vittorio Del Duca, ha permesso di individuare l’autentica vitis setina, quasi del tutto estinta e allo stato di reliquia. I
campioni di vite, ognuno proveniente da vigne con storie diverse, erano
stati avviati all’esame del Dna attraverso l’ARSIAL (Agenzia
Regionale per lo Sviluppo ed Innovazione dell’Agricoltura del Lazio)
che ha reso noti i risultati con largo anticipo sul previsto. Purtroppo,
erano in molti a Sezze a credere di conservare ancora questo antico
vitigno, ma le analisi molecolari hanno rivelato che nella maggior parte
dei casi si tratta di ibridi americani produttori diretti (Jacquet,
Rosette, Seibelle 1000) introdotti forse
a fine Ottocento per contrastare l’azione dannosa della fillossera. In
altri casi si tratta di interessanti ed antichi vitigni autoctoni già
iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite (Lecinaro,
Piedirosso, Grero, Montepulciano). Soltanto
un campione è risultato dall’analisi essere l’antico cecubo dei
romani e la sua storia è particolare in quanto è stato reimportato sul
territorio dal Caecubus Ager di Fondi,
cioè dal luogo in cui Appio Claudio il cieco, nel 312 a. C., durante la
costruzione della via Appia, trovò l’antico vitigno che prese il suo
nome. Cecubo deriva infatti dall’unione delle parole latine
“caecum” e “ bibo”, vale a dire la bevanda del cieco. C’è
da fare al riguardo quella grande distinzione, molto comune in enologia,
che il clima, il terreno, la varietà di vitigno, la località di
produzione, le modalità tecnologiche di vinificazione, diversificando
il gusto e il valore dei vini hanno fatto sì che lo stesso vitigno
assumesse qualità e denominazioni diverse a seconda della zona di
produzione. E’ il caso del vitigno cecubo, che trasferito in tempi
remoti dal caecubus ager,
tra l’attuale Formia e Fondi, ai
campi di Sezze si distinse per qualità, pregio e celebrità, tanto da
assumere la denominazione di “vitis setina” e il suo vino “vinum
setinum”. Plinio
nella “Historia Naturalis”
ci ha tramandato che il “vinum
setinum” nasceva “supra
Forum Appii”, nel luogo che la
tradizione popolare ha chiamato per tutto l’Ottocento “ Pantano
Luvenere ”, a ricordo delle vigne di uve nere. Questa fertile campagna
è attraversata dal tratturo Caniò, dove nel 1980 fu rinvenuto il
tempio arcaico della dea Giunone. Peraltro nelle immediate vicinanze
scorre il fosso delle Uve Nere proveniente dalla collina, quello che la “storpiazione”
dialettale ne ha poi tramutato il nome, dapprima in fosso “Uenére”,
poi in “Ueniéro” ed
oggi in “Venèreo”. (c.f.r.
Vincenzo Tufo -Storia antica di Sezze -1901). Cio
è descritto molto bene da Plinio (Storie Naturali) che definisce i
colli setini “
vitiferi colles “ e da Marziale che precisa che la vite setina
cresceva nei clivi che si specchiano nella palude pontina, cioè nella
parte esposta a mezzogiorno. Per
vari secoli, la vitis setina fu al centro dell’economia di Sezze
insieme all’olio e ai cereali, e non vi fu quasi poeta dell’antichità
che non abbia cantato le lodi al “vinum setinum” e alle sue
innumerevoli virtù . Così Plinio, Strabone, Stazio, ma
soprattutto Marziale che ne fu un illustre estimatore, tanto da
citarlo numerose volte nei suoi Epigrammi. Secondo
alcuni autori locali, il “vinum setinum” perse le sue antiche
caratteristiche di bontà quando i vitigni furono dislocati dalla
pianura al territorio
superiore di Sezze (Suso) e non si fecero più invecchiare per decenni
come da antica usanza (c.f.r. G. Ciammarucone – Descrittione della
città di Sezza – 1641; F. Lombardini – Storia di Sezze - 1909) . I
vitigni di cecubo iniziarono a scomparire dal territorio setino molto
probabilmente sul finire dell’Ottocento, quando i vigneti italiani ed
europei subirono gli attacchi distruttivi della fillossera e vi fu uno
sconvolgimento con l’importazione di vitigni americani (uva fragola in
primis) usati come portainnesti. Ora il vitigno verrà riprodotto e potrà essere valorizzato per ampliare la piattaforma ampelografica locale e regionale, mediante selezione clonale e previa verifica dell’assenza di virosi, nel caso di un reale interesse da parte di cantine locali o di semplici estimatori. Sezze, 10 febbraio 2017 Sulle
tracce del “vinum setinum”, il cecubo di Augusto La
sezione Coldiretti di
Sezze, grazie all’Assessorato
all’Agricoltura della Regione Lazio e all’Arsial
(Ente Regionale Sviluppo e Innovazione dell’Agricoltura nel
Lazio) riprende le ricerche sulla “vitis setina” ed i risultati si
avranno entro il mese di marzo. Riscoprire
le radici di quello che siamo e di quello che abbiamo, credo sia
fondamentale per progettare il futuro di qualsiasi territorio. La
vitis setina, l’antico cecubo dei Romani che
“faceva bene” allo stomaco dell’imperatore Augusto, così da
costruire alle pendici del colle setino un suo “palatium” è una
delle cose che abbiamo e che stiamo rischiando di perdere. La
vitis, come ci hanno tramandato, Plinio,
Strabone, Marziale, Giovenale,
cresceva nel territorio setino “supra
Forum Appii”, lungo il
fosso delle Uve Nere, quello che la storpiazione dialettale ne ha
tramutato il nome, dapprima in fosso “Uènére”, poi in “Uéniero”
ed oggi in “Venèreo”. Dopo
l’Università di Udine, che in tre anni ha analizzato solo due dei
cinque campioni di vitigni del presunto cecubo (risultati
negativi) che le avevamo
inviato a mezzo della Società Friulana di Archeologia, abbiamo deciso
per una strada diversa, che siamo certi darà i suoi buoni frutti entro
il prossimo mese di marzo. Abbiamo
individuato sul territorio nove rari esemplari di presunti vitigni di
cecubo, situati in altrettante vigne e durante la potatura del mese di
gennaio abbiamo prelevato le marze che ora, grazie all’Assessorato
all’Agricoltura della Regione Lazio e al supporto tecnico
scientifico dell’Arsial, si
trovano nel Centro di Ricerca per
la Viticoltura (CRA) di Susegana (Treviso) diretto dalla dott.ssa
Manna Crespan, allo scopo di poterne individuare con esattezza le varietà attraverso l’indagine
molecolare. Ognuno
dei campioni, secondo le informazioni fornite dai proprietari delle
vigne, ha una storia diversa e siamo certi che per la loro morfologia,
raffrontata con le notizie storiche tramandateci dagli autori locali,
almeno tre dei nove campioni dovrebbero risultare della “vitis setina”,
ovvero l’antico cecubo dei Romani, scoperto da Appio Claudio il Cieco
nel 312 a.C. durante la costruzione della via Appia. Cecubo
deriva dalle radici latine caecum e
bibere, ossia la bevanda del
cieco. Come
si ricorderà, il rinnovato interesse per la vitis setina venne
qualche anno fa dagli scavi archeologici che la Società
di Archeologia Friulana
sta tuttora compiendo nel
Comune di Moruzzo (Udine) su una villa rustica romana e che
riportarono alla luce una piastra in bronzo, di piccole dimensioni, da
stare nel palmo di una mano, con riferimento ai consoli romani vigenti
nel 106 d.C e alla "vitis setina" (COMMODO ET CERIALI
CONSULIBUS -VITIS SETINA), che riconduce inequivocabilmente all’antico
vino Setino. Si
tratterà di capire quale rapporto poteva esistere tra il Comune di
Sezze ed il Comune di Moruzzo, e se il vino setino sia stato il
primigenio di importanti vitigni friulani o europei. Mentre sono abbastanza comuni i ritrovamenti di anfore romane contenenti vino, non altrettanto si può dire delle viti, ed infatti questo è l’unico ritrovamento in Italia di una etichetta di vitis, e riguarda proprio la “vitis setina”. Ciò
sta conducendo numerosi studenti universitari di ogni parte a visitare
gli scavi di Moruzzo, e l’interesse maggiore è dedicato proprio
all’unicità di questa etichetta. La
ricerca è decisamente affascinante e ci auguriamo possa aprire nuovi ed
interessanti scenari su questo vitigno e sull’importanza del vino
setino nell’antichità, soprattutto perché sinora si era creduto che
la sua fama fosse circoscritta al Latium vetus o al massimo alla
Campania, come stanno a testimoniare alcune anfore di “vinum setinum”
rinvenute durante gli scavi di Pompei. Sezze, 8 dicembre 2016 VITIS
SETINA – Primi risultati del DNA eseguiti dall’Università di Udine La
Società Friulana di Archeologia, a mezzo del suo presidente dott.
Feliciano Della Mora, ci comunica i risultati delle analisi molecolari
eseguite dall’Università di Udine su due dei cinque campioni del
presunto cecubo setino, consegnati il 04.01.2014. Si ricorda che ognuno di questi campioni ha una storia diversa
dagli altri, secondo le informazioni fornite dai proprietari delle vigne
di origine. La
loro moltiplicazione non è andata purtroppo a buon fine per tutti i campioni e
soltanto su due di essi è stato possibile prelevare il materiale per
l’estrazione del DNA ed effettuare l’analisi molecolare. Si
tratta del lotto numero 2 della vigna di Christian Giorgi (vitigno
originario da una vigna dei Colli di Suso in Sezze) ed il lotto numero 3
della vigna di Francesco Di Pastina (originario della Valle Cennerella
di Sezze). Dalle
analisi effettuate, che si riportano in calce, nessuno di questi due
campioni corrisponderebbe all’antico “Cecubo”, così come
identificato nel database del CREA-VIT (ex
Istituto Sperimentale per la Viticoltura) di Conegliano Veneto, nella
sua collezione ufficiale di circa mille varietà di viti. L’Università
inoltre precisa che i due campioni di vite analizzati sono cloni della
stessa varietà che non trovano corrispondenza con nessun altro profilo
disponibile nel database e che, considerato il ridotto numero di
marcatori analizzati, non è stato possibile fare una ricerca di
parentela. Abbiamo
contattato l’Università di Udine, tramite la Società Friulana di
Archeologia, e fatto sapere la nostra disponibilità a fornire i nuovi
tralci dei lotti non andati a buon fine, unitamente ad altri lotti che ci sono
stati segnalati di recente. Siamo in attesa di un loro riscontro,
considerato il momento propizio dell’imminente potatura e la
conseguente disponibilità di marze per la riproduzione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Dipartimento
di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università degli
Studi di Udine Laboratorio
accreditato di analisi molecolari (Atto
Regione FVG - Servizio Fitosanitario Regionale del 14/09/2004)
1
Ricevimento dei campioni In
data 04 gennaio 2014, il presidente di Coldiretti Latina sig. Vittorio
Del Duca consegnava al
dott. Feliciano Della Mora 5 lotti di marze (riferimento lettera di
accompagnamento V28). Il 06 gennaio 2014 il dott. Della Mora contattava
il responsabile del laboratorio di analisi molecolari, prof. R. Testolin,
per la consegna del materiale che veniva contrassegnato come segue
I
campioni, rappresentati da tralci in riposo vegetativo sono stati
suddivisi ciascuno in due parti, una parte è stata lasciata al dott. Della Mora (che avrebbe provveduto ad innestare il materiale da
vivaista di sua fiducia) e una parte è stata trattenuta per la
moltiplicazione per talea e il prelievo del materiale per l’estrazione
del DNA e l’analisi molecolare. La
moltiplicazione non è andata molto bene e nel febbraio 2015 le piante
erano molto piccole e a rischio di perdita. Il 29/11/2015 presso
l’azienda agraria dell’Università erano sopravvissute piantine
appartenenti alle accessioni Giorgi, Di Pastina e Tufo. Nella primavera
2016 le piantine in vaso erano ancora presenti in azienda. E’ stato
deciso di prelevare le foglioline, cercando di non sacrificare le piante
che erano piccole, per la successiva analisi del DNA. Sono stati
prelevati campioni di foglie di ‘Giorgi 2’ e ‘Di Pastina 3’,
mentre ‘Tufo’ era troppo stentata per dare materiale adatto
all’analisi. Le foglie sono state conservate a -80 °C fino al momento
della lavorazione. 2
Analisi molecolari (fingerprinting) Per
ragioni organizzative, dato che l’analisi veniva eseguita a titolo
gratuito, i campioni non venivano lavorati fino ad ottobre 2016. Ad
ottobre 2016 si è provveduto all’analisi molecolare del DNA. Dalle
giovani foglie conservate a -80°C è stato estratto il DNA con il
metodo CTAB modificato. Ai
due campioni di ‘viti setine’ sono stati aggiunti come controlli
campioni di ‘Sauvignon’ e ‘Cabernet sauvignon’, necessari per
l’allineamento dei profili a quelli presenti nel database mantenuto
presso il Dipartimento, che raccoglie circa 1.000 profili di varietà
di vite, prevalentemente italiane, incluso il ‘Cecubo’ mantenuto
presso il CREA-VIT (ex Istituto Sperimentale per la Viticoltura) di
Conegliano (TV), nella collezione ufficiale delle varietà di vite. Sono
stati analizzati i seguenti 20 marcatori microsatellite: VChr2b,
VChr3a, VChr4a, VChr5b, VChr6a, VChr7b, VChr8a, VChr8b, VChr9a, VChr9b,
VChr11a, VChr12a, VChr12b, VChr13a, VChr13c, VChr14b, VChr16a, VChr17a,
VChr18a, VChr 19a. Sono
stati utilizzati primers ‘forward’ fluorescinati (FAM o HEX) per
l’amplificazione in PCR e successivamente la separazione dei campioni
è stata fatta al sequenziatore automatico ABI Prism, usando LIZ500 come
ladder per il calcolo delle dimensioni degli alleli. 3.
Risultati Dall’analisi
dei profili molecolari allineati sul database di circa 1000 varietà di
vite grazie ai controlli ‘Sauvignon’
e ‘Cabernet sauvignon’,
è risultato che: §
I due campioni ‘Giorgi
2’ e ‘Di Pastina 3’ presentano profilo molecolare simile e possono
essere considerati varianti clonali uno dell’altro (13
loci amplificati correttamente, 12 matches, 1 mismatch al locus VChr11a),
come appare nell’allegato 1 §
I due campioni ‘Giorgi
2’ e ‘Di Pastina 3’ hanno mostrato profili molto diversi dal
profilo di ‘Cecubo’ recuperato dal database del Dipartimento, che
proveniva da piante mantenute presso
dall’Istituto di Viticoltura di Conegliano (TV). §
I due campioni ‘Giorgi
2’ e ‘Di Pastina 3’ non trovano corrispondenza con nessun altro
profilo disponibile nel database §
Considerato il ridotto numero di marcatori analizzati non è
stato possibile fare una ricerca di parentela. I
risultati dei profili analizzati sono riportati in allegato. Udine,
23 novembre 2016
Sezze, 20 gennaio 2016 Vitis Setina: in attesa del DNA
In attesa di conoscere gli studi sul DNA dei campioni di vitis
setina, che consegnammo all’Università di Udine e Piacenza tramite la Società Friulana di
Archeologia nel gennaio del 2014, e che si spera di poter conoscere entro la fine di questo anno (si attende la fruttificazione delle viti), la medesima
Società Friulana di Archeologia, a mezzo del dott. Feliciano Della
Mora, ci informa sulla prosecuzione degli scavi nella villa romana di
Moruzzo (UD) in cui venne rinvenuta la targhetta metallica della vitis setina. Characterization of Ancient DNA from Late Roman Age Cattle of North-Eastern Italy By Next-Generation Sequencing: Preliminary Results
(Caratterizzazione di DNA antico di età tardo romana su Bovini del Nord-Est Italia, con generazione di sequenza: risultati
preliminari) sotto il poster di studio (#19804) Sezze, 24 gennaio 2014 Gli
antichi vitigni setini
Per ovviare all’inconveniente, furono importate le viti americane, perché le osservazioni in campo avevano dimostrato come queste avessero sviluppato nel tempo una spiccata resistenza alla fillossera, proprio come parzialmente già accadeva con l’uva fragola, importata in Italia qualche decennio prima, in tempi non sospetti, ma ritenuta responsabile per lungo tempo della trasmissione dell’insetto. Sulle “barbatelle” americane furono così innestate le gemme delle nostre “vitis vinifere” più diffuse, come Ottonese, Cacchione, Cesanese , Malvasia bianca, Malvasia nera,Trebbiano, Moscato ecc., e fu possibile salvarne le specie. Ma la nostra “vitis setina”, l’antico cecubo tanto caro ad Augusto, come si comportò con gli attacchi della fillossera? Fu resistente? Oppure fu innestata o ibridata per poterla salvare? La “vitis setina” descritta dal Lombardini nella Storia di Sezze, e della quale fu trovato un germoglio presso il fosso Uèniero (fosso delle uve nere) che fu poi trapiantato alla Pieve del Contado (Chiesa Nova), era veramente l’antico cecubo o non piuttosto una barbatella ibrida americana del tutto simile alla nostra e finita lì chissà come e perché? Di certo sappiamo che quella che dovette e dovrebbe essere la vitis setina, viene oggi propagata senza necessità di alcun portainnesto americano e questo alimenta dubbi e perplessità riguardo ad un possibile Ibrido Produttore Diretto, alimentati anche dalla presenza di un raro esemplare di vite che ho potuto esaminare in loco e che è stato chiamato col nome alquanto bizzarro di “cecubo bianco”. I dubbi restano, ma ancora per poco, fino a quando cioè le Cattedre di Viticoltura delle Università di Udine, Piacenza e Milano non avranno ultimato gli esami del dna sulle viti setine, consegnate agli amici della Società Friulana di Archeologia che conduce gli scavi alla villa romana di Moruzzo. Ma quali sono le viti americane (barbatelle) che si diffusero a Sezze nella seconda metà dell’Ottocento per poter essere innestate o ibridate con le nostre “vitis vinifere” ? Principalmente furono di tre specie: la vitis labrusca (uva fragola nera o Isabella, e fragola bianca detta anche Noax), la vitis rupestris e la vitis riparia, ma soprattutto le loro ibridazioni di prima e seconda generazione, chiamati Ibridi Produttori Diretti perché non abbisognavano di innesto. Da questi ibridi si ebbero nella nostra zona vini che molti ricordano e che si producono ancora in modestissime quantità, come il Clinto, il Clinton o Grande Clinto, il Bacò e il più famoso Fragolino. È bene ricordare che di questi vini, in ragione del loro elevato valore in alcol metilico, fu vietata la commercializzazione in luoghi pubblici, come osterie, trattorie, enoteche, ristoranti e loro cantine, ma fu consentito il consumo diretto per uso familiare. Eppure erano e restano piacevoli, li si beve con gioia, alcuni hanno una inconfondibile dolcezza molto gradita alle donne e ai bambini. Le norme impedivano comunque di chiamarlo “vino” e ancora oggi tra alterne vicende ritroviamo nella legislazione della Comunità Europea il divieto di commercializzazione perché con il termine di “vino” va inteso solo il succo d’uva e sua fermentazione proveniente dalla specie botanica “vitis vinifera”. Ciò non toglie che la vendita e il consumo come “prodotto alcolico di fermentazione” senza citare la parola "vino" sia esteso ancora oggi in tutta Europa. Per la verità, la legge volle con questi provvedimenti tutelare più i vitigni europei che la salute dei consumatori, i quali peraltro non correvano alcun rischio. Infatti, già al momento della loro introduzione in Europa, fu dimostrato che, per avere danni dal più elevato tenore in metanolo di questi “vini non vini” un individuo adulto ne avrebbe dovuto assumere una quantità giornaliera pari un ettolitro per tutti i giorni dell’anno. Così, la vite germogliava nei filari sul ciglio dei fossi, tra campi di grano e di carciofi, consociata ad altre colture, sino a quando non furono di intralcio alle moderne macchine cavafossi o alle colture intensive degli ortaggi. Gli immigrati “susaroli” provenienti dalla Valle del Liri, portarono nelle contrade di Suso i vitigni dei loro luoghi e qualche anziano ricorda ancora con nostalgia un vino bianco, chiamato “Biancuzzo”, che oggi non si produce più, sparito come altri vini di cui si è persa memoria. La fine della civiltà contadina ha decretato anche la scomparsa dell’uso di fare il vino in casa, di conseguenza anche la vite non germoglia più nelle quantità di prima, quando si pigiavano le uve con le pigiatrici
“a manovella”, oppure si pestavano dentro i tini a piedi nudi e calzoncini a mezza gamba, con piacere e divertimento dei giovani che vi improvvisavano veri e propri
show tra canti e saltarelli, accompagnati dal suono della “tarantella”, del
“cuticù”, dell’organetto, oppure in mancanza di tali strumenti
percuotendo casseruole, coperchi, posate, bicchieri e persino imitando a voce gli strumenti musicali. Sezze, 4 gennaio 2014 Un convegno sulla storia della Vite Setina Terzo incontro tra il Gruppo In Difesa dei Beni Archeologici e il Dr. Feliciano Della Mora Sempre più interesse sta suscitando la ricerca sull’antico cecubo setino, che il Gruppo in difesa dei Beni Archeologici di Sezze sta conducendo in collaborazione con la Società Friulana di Archeologia, e a cui stanno lavorando ben tre Atenei: le Cattedre di Viticoltura delle Università di Udine, Piacenza e Milano. Ed ora si sta pensando ad un convegno da tenersi prima ad Udine e poi a Sezze. Anche di questo si è parlato al terzo incontro tenutosi ieri (sabato 4 gennaio 2014 alle ore 17,00) presso il Museo Comunale di Sezze tra il Vicepresidente della Società Friulana di Archeologia Dr. Feliciano Della Mora e i rappresentanti del Gruppo In Difesa dei Beni Archeologici di Sezze. All'incontro era presente per la prima volta anche il Sindaco di Sezze Andrea Campoli oltre che ad alcuni coltivatori di “vitis setina” e cittadini appassionati di enologia e di storia. Ricordiamo che tutto nasce la scorsa estate da alcuni scavi che la Società Friulana di Archeologia sta conducendo su una villa rustica romana in Comune di Moruzzo (UD) dove nel luglio scorso è venuta alla luce una targhetta metallica risalente al 106 d. C., larga quanto il palmo di una mano, con la seguente incisione : “ Commodo et Ceriali Consulibus Vitis Setina”. Si sta cercando ora di capire quale rapporto poteva esistere tra il Comune di Sezze ed il Comune di Moruzzo, e se la vitis setina sia stata la primigenia di altri importanti vitigni europei. Mentre sono abbastanza comuni i ritrovamenti di anfore romane contenenti vino, non altrettanto si può dire delle viti, ed infatti questo è l’unico ritrovamento di una una etichetta di vitis, e riguarda proprio la “vitis setina”, quella che originò l’antico cecubo setino tanto caro all’imperatore Augusto. Ciò sta conducendo numerosi studenti universitari di ogni parte a visitare gli scavi di Moruzzo, e l’interesse maggiore è dedicato proprio alla unicità dell’etichetta della nostra vitis. La ricerca è decisamente affascinante e siamo certi, o quanto meno ci auguriamo, che potrà aprire nuovi ed interessanti scenari sull’importanza del vino setino nell’antichità e del suo vitigno, soprattutto perché sinora si è creduto che la sua fama fosse circoscritta all’antico Latium o al massimo alla Campania, come testimoniano alcune anfore di “vinum setinum” rinvenute durante gli scavi di Pompei. Per illustrare gli sviluppi della ricerca sono previsti almeno due convegni, da tenersi sia a Moruzzo entro il prossimo ottobre, che a Sezze probabilmente in occasione della Sagra del Carciofo 2015. Non si esclude in futuro un gemellaggio tra i due Comuni. Sezze, 26 otobre 2013 Vite Setina, un millenario gemellaggio culturale Gruppo In Difesa dei Beni Archeologici al secondo incontro con il Dr. Feliciano Della Mora Decisamente affascinante la storia della vitis setina, che il Gruppo in Difesa dei Beni Archeologici di Sezze sta conducendo in collaborazione con la Società Friulana di Archeologia. Dopo i recenti scavi su una villa romana nel Comune di Moruzzo (Udine) in cui è stata rinvenuta una targhetta in bronzo del 106 d. C. con chiaro riferimento alla vitis setina ed ai consoli dell’epoca Commodo e Ceriali, si tratta ora di capire il rapporto che esisteva tra il Comune di Moruzzo con la nostra città. In particolare, la vitis setina, potrebbe aver avuto in epoca romana un’ importanza superiore a quella che già conoscevamo, con esportazioni in tutto l’impero attraverso il porto di Aquileia o di Brindisi, importanti snodi commerciali romani. E’ comunque troppo presto per poterlo affermare ed una risposta definitiva potrà venire solo dagli esami comparativi del DNA su alcuni campioni di vitis setina, che Vittorio Del Duca ha raccolto sul territorio in nome del Gruppo in Difesa dei Beni Archeologici e consegnati alla Società Friulana di Archeologia, nell’incontro di Sabato 26 ottobre nel Museo Archeologico di Sezze. Il Dr. Feliciano Della Mora della Società Friulana di Archeologia ricevuto nel Museo di Sezze dalla Dr. Elisabetta BrucKner, da Vittorio Del Duca, Roberto Vallecoccia, Christian Giorgi (proprietario di una vitis). Gli esami del DNA verranno condotti dall’
Università di Udine con la collaborazione con altre Università, in particolare di Piacenza e Milano. Per la prossima primavera sono programmati due convegni, da tenersi tanto a Sezze quanto a Moruzzo, per rendere noti i risultati ottenuti dalle ricerche sia sotto il profilo storico che riguardo ad eventuali scenari economici ed occupazionali che, si auspica, ne potrebbero derivare. Abbiamo voluto brindare con il “vinum setinum” a questa ricerca decisamente affascinante assieme al dott. Feliciano Della Mora della Società Friulana di Archeologia, al quale abbiamo consegnato una dettagliata ricerca di Vittorio Del Duca, ricca di riferimenti storici sull’origine della vitis setina. Il documento sarà di supporto alla ricerca che i nostri amici friulani stanno conducendo con noi con altrettanta passione. La tappa finale, a conclusione del nostro lavoro, sarà il gemellaggio tra il Comune di Moruzzo e il Comune di Sezze. All’incontro di sabato 26 Ottobre presso l’Antiquarium Comunale, il
Dr. Feliciano Della Mora della Società Friulana di Archeologia è stato ricevuto
dalla Dr. Elisabetta BrucKner, da Vittorio Del Duca, Roberto Vallecoccia, Christian Giorgi (proprietario di una vitis)
nel Museo di Sezze. "La Vite Setina"
VITIS SETINA, L’ANTICO CECUBO DEI ROMANI Plinio elogia in modo particolare quello prodotto ad Amyclae dove le viti di cecubo crescevano in un terreno palustre e venivano maritate ai pioppi. Amyclae era un’antica cittadina di mare fondata dai Fenici a tre miglia da Terracina e a dieci da Fondi. Dopo la sua rovina, forse a causa della malaria, i superstiti ripararono alle pendici degli Aurunci in un luogo più salubre, dove ora sorge Itri, e vi piantarono le viti di cecubo che avevano portato con loro. Secondo il racconto di Columella (4), tale vitigno si chiamava dracontion, che in greco significa serpe, perché gli abitanti di Amyclae usavano questo vino per i riti sacrificali al loro dio serpente, da ciò la denominazione di “uva serpe” con cui è conosciuta in quei luoghi. Columella individuò il sito di produzione del miglior vino dell’impero sulle alture di “spelunca” (Sperlonga). La denominazione di cecubo invece, secondo le ipotesi più accreditate, sembra risalire al II secolo a. C. quando Appio Claudio il Cieco costruì la Via Appia. Nell’attraversare il tratto da Fondi a Formia, in seguito denominato ager caecubi, Appio Claudio scoprì questi viti dalle uve nere che producevano un vino di colore rosso cupo a lui particolarmente gradito; questo vino fu poi denominato Cecubo dalla congiunzione di due termini latini “caecus” e “bibo”, ossia la bevanda del cieco. Tale distinzione appare netta nei testi latini (Plinio, Strabone, Marziale, ecc) che parlano di vino cecubo e di vino setino, tanto da dare l’impressione, ad una lettura sommaria e poco approfondita, che si tratti di due vitigni diversi. Stesso discorso vale per Fondi, dove il vitigno cecubo viene chiamato “abbuoto”, oppure “uva serpe” come a Itri e Minturno, ma la viticoltura è ricca di esempi, basti citare il Sangiovese che a Montalcino prende la denominazione di Brunello, con la quale è conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. 2)- Plinio - Naturalis Historiae - libro XIV cap 6 e 8 3)- Ciambrusca: in dialetto sta a significare un insieme di piante perenni, rampicanti, che avrebbero bisogno di sostegni (come la vite) – dal latino cio e ruscum 4) – Columella – Liber de Agricoltura – libro XII 5) – Pietro Marcellino Corradini – De primis antiqui Latio populi… - 1702 – Tomus II, pag 146 6)- Plinio- Nat. Hist. - lib XIV cap. 6 7)- Plinio- Nat. Hist - libro III cap 5 8)- Marziale- libro VIII ,Epig. 112 9)- Plinio- Nat. Hist. – libro XIV cap 6 n. 5 10)- Marziale – lib VI, Epigramma 69 11)- F. Lombardini – Storia di Sezze – Atesa Editrice nota 31 pag. 142. 12) -Veronelli- Enciclopedia mondiale dei vini e delle acqueviti – Rizzoli Editore – Milano 1982- vol 2 pag. 106 13) Giovenale – Satira 5 : ” Domani berrai vino albano o setino, del qual paese sono stati cancellati dal tempo i titoli (sulle anfore) essendosi i vecchi recipienti ricoperti di molta fuliggine”. 14) - Gli effetti determinati da questa crisi furono la scomparsa dei liberi lavoratori e l’aumento del numero degli schiavi, perchè prestavano lavoro a costo zero. Di questi infelici a Sezze ce ne dovettero essere veramente tanti, perché a quelli venuti al seguito degli ostaggi cartaginesi si aggiunsero ben presto quelli comprati dai setini dopo le guerre puniche per la vastità del territorio da coltivare. Senza parlare degli schiavi diventati tali in conseguenza della crisi, che togliendo la classe dei liberi lavoratori e dei piccoli proprietari, fece rimanere quella dei signori e dei servi ( Vincenzo Tufo – Storia Antica di Sezze- Veroli Tipografia Reali- 1908 - pag 115,116). 15) - La vigilanza era comunemente affidata alla suocera, che attraverso l’alito accertava se la nuora avesse bevuto o meno; in caso positivo veniva considerata da tutta la famiglia alla stregua di una prostituta. E’ stato anche scritto che i mariti baciavano le mogli più per accertarsi che non avessero bevuto che per amore.(ius osculi) 16) Giovanni Negri, Elisabetta Petrini – Roma caput vini – edizione I – ottobre 2011 17) Stazio – Silvae, 1 II, 7 18) - Orazio – Ode 1, 18, 1- 5 19)- Giovanni Negri, Elisabetta Petrini – Roma caput vini – edizione I – ottobre 2011 20)- Nicola Maria Nicolai – De Bonificamenti delle terre pontine- Pagliarini 1800, libro IV, pag 91. 21) - G. Ciammarucone – Descrittione della città di Sezza colonia latina di romani – Stamperia della Rev. Camera Apostolica – 1641, pag. 44 22) - Vincenzo Tufo – Storia Antica di Sezze- Veroli Tipografia Reali- 1908, pag 163 23) – F. Lombardini – Storia di Sezze – 1876 - Atesa Editrice, nota 34 pag 144 24) - G. Ciammarucone – Descrittione della città di Sezza colonia latina di romani – Stamperia della Rev. Camera Apostolica – 1641, pag. 43 - 44 25)- F. Lombardini – Storia di Sezze – 1876 -Atesa Editrice, pag 31 26) – F. Lombardini – Storia di Sezze – 1876 -Atesa Editrice , nota 34 pag 144 Sezze, 20 settembre 2013 Ecco il Cecubo coltivato a Sezze Scalo
Bellissimo vigneto di antico Cecubo coltivato da Francesco Di Pastina Lodi al signor Francesco Di Pastina, commerciante in pensione, con una spiccata cultura del nostro territorio che a Sezze Scalo cura un vigneto dove cresce l'antico Cecubo. Di Pastina ci ha raccontato che da giovane, quando era appassionato di caccia, notò delle viti di uva nera che crescevano spontanee lungo la Valle della Scenderella o Centerella, nella zona di Suso, al di là della “Vigna delle monache” in contrada Fontanelle. Si trattava dell'antico vitigno, già conosciuto in epoca romana e coltivato nella zona tra Fondi e Formia, che in seguito verrà chiamato Cecubo. Una volta in pensione il nostro signor Francesco si ricordò di quelle viti, ritornò in quella valle, ne divelse alcune e ne fece un piccolo vigneto ad uso familiare che ora germoglia rigoglioso a poche decine di metri dalla rotonda sulla SS156 che da accesso al paese di Sezze. Nello stesso vigneto è custodita anche un’altra varietà di uva nera pressoché scomparsa dal territorio setino, si tratta del Cesanese, proveniente dall’antica vigna dei Millozza sempre nella zona di Suso. Cenni di storia sui "conservifici" di epoca romana a Sezze I Romani appresero e continuarono l'uso, proveniente dalle anfore di Rodi, di indicare sulle anfore il nome del console sotto il quale il vino era stato prodotto, la qualità del vino ed altre diciture, sia riportate direttamente sull'amfora (amphora litterata) oppure su una sorta di etichetta in pozzolana (pittacium) legata al collo dell'anfora stessa (cfr Veronelli - Enciclopedia Mondiale dei vini e delle acqueviti - Rizzoli Editore, Milano 1981, Vol. 2, pag. 106). Marziale rammenta le conserve di Setia (“… cellis Setia cara suis” – Lib X , Epigr. 33) oggi diremmo cantine sociali, da cui, come riferisce Plutarco, Silla estrasse i vini di quarant’anni che offrì nei banchetti dati al popolo dopo la vittoria su Mario nella guerra civile. Il Lombardini, nella Storia di Sezze riferisce dell’esistenza nella contrada detta "zona delle vigne" di una conserva di vini (nota 31 pag. 142). Era un corridoio di quattro lati, simile a quello che si può ammirare nella casa di Diomede a Pompei e venne distrutto nei lavori del 1892 per i lavori della ferrovia (la vecchia linea ferroviaria del treno a vapore detto Tuppitto). È da desumere che da questa distruzione non si sia recuperata alcuna anfora, ammesso che ve ne fossero. Si
è vociferato di un altra distruzione di
un conservificio di vini con ritrovamento di anfore, questa volta
avvenuta
in tempi più recenti, sul finire degli anni 50, durante i lavori
di scavo per la posa dei tubi dell’impianto irriguo consortile Campo
Setino, nelle vicinanze del Fosso Uéniero (che letteralmente si
legge fosso delle uve nere), ma non sappiamo se le anfore
siano andate perse sotto i colpi degli escavatori oppure trafugate da
ignoti. Nelle foto il signor Francesco Di Pastina nella sua vigna e mentre brinda con Vittorio Del Duca Nelle foto sopra una bottiglia di Cecubo di Formia della vendemmia del 1966 Ricerche sul Cecubo di Formia >> http://www.cittadiamyclae.net/vinocecubo/index.htm Le due specie a confronto: il Cesanese e il Cecubo, quest'ultimo riconoscibile per gli acini minuti Tra
le varietà coltivate dal signor
Francesco Di Pastina, vicino alla vigna citata, c'è anche
il genere Sorbus (genericamente Sorbo nella foto sopra) comprende alberi e arbusti della famiglia delle Rosacee.
Le specie appartenenti al genere Sorbus sono molto numerose e producono tutte frutti simili, ma molto diversi per grandezza e anche per colore.
Dante Alighieri lo cita come frutto aspro, in contrapposizione al fico, che ha frutti dolci. Sezze, 3 settembre 2013 Sulle tracce dell'antica "Vitis Setina" A Moruzzo (Udine) recenti scavi archeologici danno alla luce un reperto sorprendente Recenti scavi archeologici condotti nel Comune di Moruzzo (Udine) su una villa rustica romana, hanno riportato in luce una piastra in bronzo, di piccole dimensioni da stare nel palmo di una mano, con riferimento ai consoli vigenti nel 106 d.C e ad una "vitis setina" (COMMODO ET CERIALI CONSULIBUS VITIS SETINA) che inequivocabilmente riconduce all’antico vino Setino, così famoso nell’antichità, come ci è stato tramandato da Plinio, Strabone, Marziale, Giovenale ed altri. Nell'intenzione di approfondire la conoscenza di questo rinvenimento e del vino Setino, la Società di Archeologia Friulana che conduce gli scavi, con regolare autorizzazione del Ministero per i BB CC e della Soprintendenza Archeologica del FVG, ha chiesto la collaborazione del Comune di Sezze e del Gruppo in difesa dei Beni Archeologici che fanno capo al setino.it per capire quale rapporto poteva esserci tra l’antica Setia e la loro zona. Il 31 Agosto u.s, presso l’Antiquarium di Sezze, è venuto a trovarci, dopo uno scambio di mail, il vice Presidente della Società Friulana di Archeologia, il dott. Feliciano Della Mora, che è stato ricevuto dalla Direttrice del museo Dott. Bruckner, Ignazio Romano, Vittorio Del Duca e Roberto Vallecoccia. Ne è scaturito un percorso comune di ricerche e di incontri, compreso due convegni sui risultati della ricerca da tenersi tanto a Sezze quanto a Moruzzo. Fondamentale sarebbe ritrovare dei vitigni dell’antico vino setino e attraverso gli esami sul DNA, condotti dall’Università di Udine e di Milano, capire se il nostro vino sia stato il progenio di alcuni vini friulani o di altri vini esportati dagli antichi romani in tutto l’impero, anche attraverso Aquileia, importante snodo commerciale di epoca romana e non lontana dal Comune di Moruzzo. Questo ritrovamento apre scenari inaspettati sull’importanza nell’antichità del vino setino e dei suoi vitigni, soprattutto perché si pensava che la sua fama non avesse travalicato i confini del Latium Vetus. Vittorio Del Duca ha reperito qualche vitigno, ma per essere certi della loro autenticità ne occorre più di uno. Il Lombardini, nella Storia di Sezze di fine ottocento scrive che un esemplare della vitis setina si trovava, nel suo tempo, presso la Pieve del contado dove dava del vino per il curato. È
da verificare se tale luogo coincida con la chiesa di S.Francesco Saverio, alias “chiesa nuova”, e se qui esiste ancora qualche rinascente. Di seguito la descrizione che fa il Lombardini (nota 33 pag. 144) della vite setina ed in particolare di un germoglio rinvenuto quasi per caso presso il fosso Uenièro o Veniero, storpiazione dialettale di “fosso delle Uve Nere”. Plinio, nella Historia Naturalis afferma che le vigne di si trovavano nella zona “supra forum
Appii, ubi nascitur vinum setinum” ed infatti, in passato, quella località intorno al tempio di Giunone del tratturo
Caniò, era chiamata chiamata “Pantano Luvenere”. È da notare che i latini intendevano per “palatium” solo ed esclusivamente la dimora degli imperatori. Marziale in uno dei suoi Epigrammi dice che il vino di Sezze si beveva freddo, con il ghiaccio, allungato con l’acqua o addizionato di miele, ma soprattutto vecchio dai cinque ai quindici anni e più. Silla dette da bere ai suoi legionari il vino setino vecchio di quaranta anni. L’abitudine di non invecchiare il vino, unitamente allo spostamento delle vigne nella zona di Suso, sono state secondo il Ciammarucone (Descittione della città di Sezza – 1642) le concause della decadenza del vino setino. Chiunque avesse notizie di vitigni dell’antico vino setino, tuttora esistenti, è pregato di segnalarlo scrivendo a info@setino.it Per l’esame del DNA ne basta un tralcio. La Società Friulana di Archeologia è in contatto con le università di Udine, Piacenza e Milano per gli accertamenti - www.archeofriuli.it 31 agosto 2013: le foto della visita al museo di Sezze del Presidente della "Società Friulana di Archeologia" Dott. Feliciano Della Mora, ricevuto dalla Dott.ssa Elisabeth Bruckner e dai rappresentanti del gruppo "In Difesa dei Beni Archeologici" Ignazio Romano, Vittorio Del Duca e Roberto Vallecoccia. |