9 ottobre 1963
- 9 ottobre 2013
50 anni dalla tragedia del Vajont
Cinquanta anni da una tragedia costata la vita a 1910 persone (uomini, donne, vecchi e bambini) sommerse da un misto di acqua e fango immenso e creato dall’uomo. Un paese, quello di Longarone, cancellato dall’esondazione del Vajont il torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti appunto a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno. Lì venne costruita una diga immensa, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è, a tutt’oggi, di 1910 vittime.
Dietro la tragedia, la sciagurata mano umana per tre motivi: la valle non era idonea sotto il profilo geologico; la quota del lago artificiale è stata innalzata oltre i margini di sicurezza; la sera del 9 ottobre non è stato dato l’allarme per attivare l’evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione.
Sabato
18 ottobre 2008 - ore 17,00
Centro Sociale Calabresi





Un
momento mai rielaborato, una ferita perenne, per molti solo da
dimenticare, ma impossibile da cancellare. Quello di sabato 18
ottobre non è stato solo l'incontro con i
"sopravvissuti" del più grande disastro provocato
dall'uomo, le testimonianze di Micaela Coletti
(Presidente del Comitato Sopravvissuti Vajont) e di Gino
Mazzorana hanno svelato ai tanti intervenuti una realtà che
ancora oggi si cerca di nascondere. Quella verità, quel 9 di
ottobre di 45 anni fa condizionano ancora il nostro paese.
L'incomunicabilità tra lo stato e il cittadino, la certezza e
la paura di non essere mai tutelati quando gli interessi in
gioco sono grandi hanno scritto e scrivono la storia d'Italia.
Vedi Seveso, vedi Eternit-Amianto, ma anche la diffidenza verso
il Nucleare, verso le centrali Turbogas e tutto quello dove si
nascondono grandi interessi che in qualche modo oscurano le
ragioni ed il bene della comunità e del cittadino.
L'incontro
di ieri è stato organizzato dalle ragazze del servizio civile,
Alessandra e Paola, più volte ringraziate dal Vice Sindaco e
dall'Assessore alla Cultura che insieme ai docenti delle scuole
di Sezze hanno presentato l'evento a cui hanno fatto da contorno
i lavori degli studenti. Un momento importante per le nuove
generazioni, necessario per capire cosa non funziona nel nostro
paese. Micaela ha raccontato la sua storia, con coraggio lo fa
dal 1969 quando, preso coscienza dei fatti, ha capito che quello
non era un brutto sogno come sperava. Mentre il paese, senza una
adeguata rielaborazione dei fatti, ha cercato e cerca giorno per
giorno di cancellare quella memoria.
All'incontro
è intervenuto anche il signor Pagliaroli Renato di
Sabaudia che all'epoca svolgeva il servizio di leva militare a
Palmanova e con il suo regimento partecipò ai primi soccorsi.
"La verità è ancora più brutta di quella testimoniata da
Micaela e Gino" ha dichiarato Renato.
Un
cordiale scambio di doni e abbracci ha concluso la serata ed il
mio personale grazie va a tutti quelli che l'hanno
realizzata.
Ignazio Romano



















9
ottobre 1963 (dal sito www.vajont.net
)
La
frana che si staccò alle ore 22.39 dalle pendici
settentrionali del monte Toc precipitando nel bacino
artificiale sottostante aveva dimensioni gigantesche.
Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di
rocce e detriti furono trasportati a valle in un attimo,
accompagnati da un'enorme boato. Tutta la costa del Toc,
larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi
coltivati ed abitazioni, affondò nel bacino
sottostante, provocando una gran scossa di terremoto. Il
lago sembrò sparire, e al suo posto comparve una enorme
nuvola bianca, una massa d'acqua dinamica alta più di
100 metri, contenente massi dal peso di diverse
tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in
corto-circuito, prima di esser divelti dai tralicci
illuminarono a giorno la valle e quindi lasciarono nella
più completa oscurità i paesi vicini.
La forza d'urto della massa franata creò due ondate. La
prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della
vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo
consentì all'onda di abbassare il suo livello e di
risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto.
Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le
rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda,
Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
La seconda ondata si riversò verso valle superando lo
sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino
ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più
basse del paese di Casso. Il collegamento viario
eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così
come la palazzina di cemento, a due piani, della
centrale di controllo ed il cantiere degli operai.
L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi,
scavalcò la diga precipitando a piombo nella vallata
sottostante con una velocità impressionante. La stretta
gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole
acquisire maggior energia.
Allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri e
produsse un vento sempre più intenso, che portava con
se, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di
goccioline. Tra un crescendo di rumori e sensazioni che
diventavano certezze terribili, le persone si resero
conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più
scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che
si abbatté con inaudita violenza su Longarone. Case,
chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue,
piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le
sradicò fino alle fondamenta. Della stazione
ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari
piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo
slancio andandosi ad infrangere contro la montagna,
iniziò un lento riflusso verso valle: una azione non
meno distruttiva, che scavò in senso opposto alla
direzione di spinta.
Altre frazioni del circondario furono distrutte,
totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e
Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune
di Castellavazzo. A Pirago restò miracolosamente in
piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm
venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave,
diventato una enorme massa d'acqua silenziosa, tornò al
suo flusso normale solo dopo una decina di ore.
Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva
ossessionato da parecchi anni la gente del posto,
divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono
contemplare quanto l'imprevedibilità della natura,
unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita
di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato
nella storia italiana e mondiale........... si era
consumata una tragedia tra le più grandi che l'umanità
potrà mai ricordare.
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... il peggior
disastro ambientale mai accaduto nel mondo provocato dall'uomo (Documento
ONU)

http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont
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