Comune di Sezze 

celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia

16 marzo 2011 - ore 21,00                                                             Sezze, Auditorium Mario Costa

Notte Tricolore


PROGRAMMA
 

Saluti del Sindaco Andrea Campoli e 
del Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Zeppieri 
Esibizione delle corali riconosciute di interesse comunale: 
Coro Incantu diretto da M.° Carlo Marchionne 
Corale San Carlo da Sezze diretto da M.° Monica Di Maria. 
A seguire si esibirà il Coro degli Alunni della Scuola Elementare 
dell’Istituto Comprensivo Valerio Flacco diretto da Pietro Cipolla. 
Lettura di alcuni articoli della Costituzione Italiana 
a cura dei Consiglieri Comunali delle passate consiliature: 
Luigi Ottaviani, Fausto Coluzzi, Fausto De Angelis, Mario Berti, 
Vittorio La Penna, Lorenzo Sibilio 
e di attori delle compagnie teatrali di Sezze: 
Giancarlo Loffarelli, Emiliano Campoli, Lucia Viglianti, Alessandro 
Grossi, Titta Ceccano, Arianna Bernasconi, Orazio Mercuri. 

Saluti del Sindaco Andrea Campoli e 
del Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Zeppieri

la serata è stata condotta da Piero Formicuccia e Olga Lorenzi

Il Comune di Sezze festeggia i 150 anni dell’Unità d’Italia

Quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e per l’occasione si svolgeranno diverse manifestazioni in tutta la Nazione nella notte tra il 16 ed il 17 marzo, denominata “Notte Tricolore”.

Nel Comune di Sezze i festeggiamenti avranno inizio mercoledì 16 marzo, alle ore 21.00 presso l’Auditorium “M. Costa”, con il concerto “Notte Tricolore per la Festa Nazionale dell’Unità d’Italia”.

L’iniziativa, promossa dalla Presidenza del Tavolo Nazionale per la Promozione della Musica Popolare e Amatoriale, coinvolgerà  la “Corale S. Carlo” e il coro polifonico “InCantu”, a cui lo scorso 18 gennaio è stato conferito il riconoscimento di “Gruppo di Interesse Comunale” .

La serata si aprirà con i saluti istituzionali del Sindaco Andrea Campoli ed il Presidente del Consiglio Giovanni Zeppieri, a cui seguirà l’esibizione delle due corali dirette rispettivamente da Monica Di Maria e Carlo Marchionne.

Prevista, inoltre, la partecipazione del coro degli alunni della scuola elementare dell’Istituto Comprensivo “Valerio Flacco”, diretti da Pietro Cipolla. Durante la manifestazione saranno letti alcuni articoli della Costituzione Italiana da consiglieri comunali delle passate consiliature (Luigi Ottaviani, Fausto Coluzzi, Fausto De Angelis, Vittorio La Penna, Lorenzo Sibilio) e da attori delle compagnie teatrali di Sezze (Orazio Mercuri, Giancarlo Loffarelli, Emiliano Campoli, Lucia Viglianti, Alessandro Grossi, Titta Ceccano, Arianna Bernasconi).

Coro Incantu diretto da M.° Carlo Marchionne

Lucia Viglianti e Arianna Bernasconi leggono la Costituzione

Luigi Ottaviani e Loranzo Sibilio leggono la Costituzione

Fausto Coluzzi e Titta Ceccano leggono la Costituzione

Coro degli Alunni della Scuola Elementare 
dell’Istituto Comprensivo Valerio Flacco diretto da Pietro Cipolla

Orazio Mercuri e Giancarlo Loffarelli leggono la Costituzione

Corale San Carlo da Sezze diretto da M.° Monica Di Maria

Fausto De Angelis e Alessandro Grossi leggono la Costituzione

Emiliano Campoli legge la Costituzione

 riconoscimenti per il Dirigente scolastico Anna Giorgi

riconoscimenti per il Presidente del Centri studi "San Carlo da Sezze" Antonella Bruschi

Sezze, 13 marzo 2011

150° Anniversario dell'Unità d'Italia
Una storia di briganti e di bovari per l’annessione plebiscitaria dello Stato Pontificio
di Vittorio Del Duca

Dopo la caduta della piazzaforte borbonica di Gaeta e l’annessione del Regno di Napoli, il 17 marzo1861 Vittorio Emanuele II veniva proclamato re d’Italia. L’unificazione non era però ancora completa e al nuovo Regno mancavano il Veneto, ancora in mano austriaca, e ciò che restava dello Stato Pontificio, vale a dire l’odierno Lazio con esclusione della sua parte meridionale con le isole ponziane (annesse con il Regno di Napoli) e della provincia di Rieti (annessa nel 1860 insieme a buona parte dei territori dello Stato Pontificio). Lo Stato Pontificio del Lazio, che ovviamente comprendeva anche Sezze, venne annesso solo nove anni più tardi e precisamente il 20 Settembre 1870 con la Breccia di Porta Pia

Tutte le annessioni dei vecchi Stati al nuovo Regno, avvennero attraverso plebisciti o referendum secondo le regole di casa Savoia, sia per sancire e giustificare con il consenso popolare annessioni avvenute con le armi, sia per evitare in futuro eventuali contestazioni giuridiche. Il plebiscito di annessione di Roma e del Lazio fu indetto per il 2 Ottobre 1870, a soli dodici giorni dalla presa di Roma. Non tutti i cittadini avevano facoltà di accedere al voto ma solo il ceto abbiente, borghese e nobiliare, quindi ai plebisciti partecipò mediamente l’1,8% della popolazione. Le masse contadine, quasi del tutto analfabete, ne rimasero fuori. Per l’annessione di Roma e del Lazio gli iscritti al voto furono 167.548, i votanti 135.188, i favorevoli 133.681 ed i contrari 1.507. Il quesito plebiscitario era il seguente: “ Vogliamo la nostra unione al Regno d'Italia, sotto il governo del re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori “; al quesito si poteva rispondere con “si” o “no”. 

Nonostante il brevissimo tempo intercorso tra la presa di Roma ed il plebiscito, e nonostante la bassissima percentuale degli aventi diritto al voto, vi fu una capillare “campagna elettorale” in favore del “si”, con tutti i mezzi di comunicazione allora disponibili. Singolare è a tal proposito il mezzo di comunicazione in uso a Sezze tra i “camperi” (1) come ebbe modo di raccontare mio padre in occasione del centenario dell’Unità d’Italia. Raccontava che il mio bisnonno Vincenzo Del Duca ed il fratello Ignazio, conosciuto in paese come “Gnazzio gli’abbate” per la sua figura imponente e per la barba lunga e folta, in un pomeriggio di fine Settembre 1870 tornavano in paese dalla loro lestra (2) nella palude pontina, sita nei pressi del canale Rio Martino, tra la Macchia di Bassiano e la Macchia Caserta. I due fratelli, che appartenevano alla categoria agricola dei “bovari” (3) andavano a cavallo con i classici abiti da buttero. 

Sul cappello avevano appuntato, come tutti i “campéri”di Sezze in quel particolare momento storico, una targhetta di rame di pregevole fattura recante la scritta “SI” che i “callarari”(3) setini stavano forgiando e vendendo in grandi quantità per la campagna elettorale” di annessione. C’ è chi dice che i plebisciti ed i loro risultati furono solo una burla, ma come spiegare a Sezze il forte consenso popolare all’Unità d’Italia ? 

Al loro seguito, i due Del Duca portavano un asino con una soma di legna da ardere, abbastanza pesante . La povera bestia avanzava piuttosto speditamente, ma attraversando un tratto di palude dal fondo melmoso, rimase impantanata senza poter muovere più le zampe. Ignazio scese da cavallo, appese giacca e cappello ad un ramo, si infilò sotto il ventre dell’asino e aiutandosi con le spalle e le braccia sollevò l’animale con tutta la soma, fino a liberarlo da quel pantano. In quel preciso istante passarono tre uomini a cavallo il cui abbigliamento non dava adito a dubbi: si trattava di briganti. 

Incutevano terrore al solo vederli, ma i due fratelli non si scomposero. I briganti indossavano le ciocie ai piedi, i calzoni di fustagno a gamba, la giubba con il panciotto, il mantello a ruota ed un cappello a punta alla calabrese, ornato di spille con immagini sacre e con nastri variopinti. Avevano combattuto al soldo di Franceschiello (Francesco II di Borbone) durante l’assedio di Gaeta e, dopo la disfatta, erano tornati alla macchia tra Priverno, Sonnino e Terracina dove ristabilirono il covo nella ex zona franca, una fascia larga diversi chilometri situata ai confini con l’ex Regno di Napoli. Avere il covo in una zona franca significava avere un riparo sicuro alle loro malefatte, sia che fossero stati inseguiti dalle guardie papaline dello Stato Pontificio, i cosiddetti Cacciatori o Centurioni, sia da quelle borboniche del Regno di Napoli. I briganti, se in quel momento avevano in animo di compiere qualche malefatta ai danni dei due fratelli, impressionati da quella involontaria ostentazione di forza, se ne astennero, anzi non mostrarono affatto intenzioni malvagie ma solo grande curiosità per la targhetta con il “si” che avevano notata sui cappelli dei due. 

Quando fu loro spiegato il significato, il capobanda rispose: “ La volemo portà pure nòantri, ma sémo sette, se ce le procurate avete la parola nostra che nessuno oserà più rubarvi il bestiame.” Così Vincenzo e Ignazio, che avevano diversi beni al sole, per non inimicarseli presero l’impegno che, una volta giunti a Sezze, avrebbero reperito le targhette ma le avrebbero consegnate non prima di quattro giorni, quando cioè uno di loro o entrambi sarebbero tornati in palude. I briganti passarono nella lestra dei Del Duca dopo cinque giorni, quando il plebiscito era ormai concluso, ma mostrarono egualmente grande gradimento per quelle targhette, quasi fossero stati degli scudetti della squadra del cuore, e le portarono appuntate al cappello per diversi anni come pure molti “camperi” di Sezze. Tante le speranze e tanta la fiducia riposta nel nuovo Regno!
Note:
1)- I campèri, come dice la parola stessa, erano coloro che coltivavano i campi, spesso servendosi di manodopera e spesso lavorandovi essi stessi come bovari (aravano il terreno con i buoi). Erano gli antesignani dei moderni imprenditori agricoli. Nell’agro pontino romano venivano anche chiamati “mercanti di campagna” perché affittavano dai latifondisti intere tenute per la coltivazione dei cereali o per l’allevamento del bestiame e vi praticavano le industrie agrarie (latticini, formaggi, ecc.)
2)- Le ” lestre” erano piccoli appezzamenti di terreno all’interno della palude pontina, privi di alberi, recintati e messi al pascolo. Venivano realizzate nelle zone meno depresse della palude e al loro interno, oltre agli animali, si trovavano uno o più gruppi di capanne ma anche le “logge”, autentiche palafitte. Nelle capanne abitavano allevatori, pastori, carbonari, pescatori, “utteri” addetti al bestiame, ecc. Le “lestre” prendevano il nome dalla toponomastica dei luoghi ma anche dai loro proprietari ; ad esse si accedeva attraverso lunghi sentieri, all’interno della macchia selvaggia, noti solo a gente pratica della palude. In tempi più recenti per “lestra” si intendeva anche un raggruppamento o un villaggio di capanne fuori della palude ( es. lestra della Fontana Acquaviva).
3)- I bovari, come già detto, possedevano una o più coppie di buoi per i lavori agricoli, generalmente da aggiogare all’aratro. Sovente avevano alle dipendenze degli operai specializzati in aratura, chiamati “bifolchi”. Una “uetta” di buoi (coppia di buoi maschi castrati aggiogati all’aratro) costituiva un grande capitale, paragonabile oggi ad almeno due tir di grosse dimensioni. Erano, quindi veramente pochi quelli che potevano permettersi questo mestiere, peraltro molto ambito, non solo perché rendeva tantissimo economicamente,ma anche per la stima ed il prestigio che “i bovari” godevano nella società.
4)- I “callaràri” o “calderàri” erano artigiani che producevano e riparavano “le callàre” (caldaie), una sorta di enormi pentoloni in rame, usate per scaldare l’acqua o per cucinare. I callaràri costruivano pure “le stagne” e tegami come “ la sartagna” e “gli sartagniglio” oltre ai “ conconi ” recipienti in rame usati dalle donne per prendere l’acqua alle fontane, ed altri oggetti in rame come “scolamaregli” (mestoli usati soprattutto per prelevare l’acqua dai conconi) bracieri, candelabri, ecc. Riparavano pure le casseruole in alluminio. I recipienti di rame, prima di essere adoperati ad uso alimentare, dovevano essere “stagnati” cioè rivestiti nella parte interna con uno strato di stagno, altrimenti potevano risultare tossici a causa della formazione di ossido di rame. Per tale motivo, oltre alle officine dei “callaràri” esistevano quelle degli “stagnari” o “stagnini” e numerosi ambulanti zingari che, periodicamente ma soprattutto in occasione delle fiere, giungevano a Sezze.

Il maggiore Giacomo Pagliari, comandante del 34º Bersaglieri, colpito a morte durante la presa di Porta Pia

Costituzione della Repubblica Italiana