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San Pietro |
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Il
restauro della facciata della chiesa di San Pietro nell’arce di Sezze |
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La conservazione nonché il restauro del complesso edilizio dell’acropoli setina è stato sempre oggetto di particolari studi storici ed architettonici riguardanti i principali monumenti che si ergevano attorno a Piazza Margherita (Ex Collegio gesuitico e Seminario vescovile diocesano; Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo - meglio conosciuta come San Pietro -, piazzetta dell’ex chiesa di San Rocco – distrutta nel 1944 in seguito a bombardamento aereo tedesco- , casa Lombardini , palazzo comunale De Magistris..) |
Carlo Luigi Abbenda (al centro nella foto del 1983 a Val Fondillo) da molti anni studia la storia di Sezze. Come Campoli è molto attento ed esegue una analisi minuziosa, percorrendo, con questo articolo, tutta la vita della chiesa di San Pietro,arrivando alle stesse conclusioni di stupore a cui molti concittadini sono arrivati, non sapendo dare una risposta logica di fronte ad un "restauro" che di fatto cancella 400 anni di storia a cui eravamo affezionati.
*** Giudizi, problemi e prospettive |
La
questione è tornata di moda, diventando un caso molto spinoso da
contendere, quando si è dovuto risolvere il problema del restauro della
facciata della citata chiesa di san Pietro, malauguratamente scivolata ,
con il trascorrere degli anni, in un critico stato di decadimento esterno
ed interno anche per le burrascose vicende religiose che hanno scosso la
parrocchia qualche anno fa. In
tempi diversi, e con interventi sempre parziali , sono state adottate
soluzioni di tamponatura di varie necessità di restauro ( rifacimento
tetto e soffitto interno a cassettoni lignei, ristrutturazione pareti ed
intonaci vari nella navata e nelle cappelle …, degrado e rovina del
campanile e della torre dell’orologio…).
Per
l’ultimo problema del restauro della facciata, che si è posto con
particolare delicatezza e difficoltà, è stata malauguratamente eseguita
una frettolosa procedura di recupero e di
conservazione architettonica che negli ultimi mesi ha portato ad
una soluzione molto discutibile sul piano dell’impatto visivo del
complesso e della conformità dell’intervento al progetto originario dei
padri Gesuiti. |
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Così appariva Piazza Margherita prima del bombardamento avvenuto durante la seconda guerra mondiale |
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Per
fare un punto sulla situazione di questo problema
architettonico-ambientale cerchiamo ora di offrire sinteticamente, ai
concittadini e studiosi interessati , delle note storiche ed
architettoniche della costruzione di tutto questo complesso tessuto
edilizio , con la speranza di poter offrire una riflessione seria e
documentata di questa spinosa e gravosa questione che ha avuto, ahimé,
una soluzione poco consona all’originalità costruttiva gesuitica di San
Pietro. Alla
fine del XVI secolo il governo cittadino di Sezze , per poter trovare
soluzione alla mancanza di edifici scolastici nel centro del paese, pensò bene di affidare ai padri Gesuiti del posto la realizzazione di
un complesso architettonico che fungesse sia da luogo di istruzione
scolastica, sia da residenza religiosa che da collegio gesuitico. A tal
fine nel 1589 fu affidato ai Gesuiti di Sezze l’onore e l’onere di
impegnarsi nella cosiddetta “Fondazione gesuitica”, mediante
un’obbligazione reciproca stipulata il 27 febbraio 1589.
In
realtà l’idea di creare un’istituzione religiosa-scolastica era stata
del nobile Nicolò Pilorci, allora sindaco e notaio di Sezze, che mise
per iscritto, nel proprio testamento datato 23 marzo 1584, la volontà di
affidare ai suddetti padri la fondazione di un apposito collegio ,
soprattutto per i bisogni di pubblica istruzione, erogando loro ben 3000
scudi , con l’obbligo di ultimare l’impresa in dieci anni, trascorsi i
quali senza efficaci interventi il lascito doveva intendersi restituito a
favore dei legittimi suoi eredi. A tale scopo, quattro anni dopo, il
comune setino mise a disposizione dei Gesuiti ben 13.440 scudi ( tremila
dei quali provenienti dal citato lascito
Pilorci ) per l’inizio dei lavori :
i restanti 10.000 scudi furono raccolti tramite i proventi
dell’affitto dei boschi civici.
L'orologio prima di uno dei precedenti restauri parziali citati nell'articolo di Carlo
Cominciò
così un lungo periodo di messa in opera del progetto attraverso continui
lavori che, riguardo alla sola chiesa , si protrassero per ben
cinquant’anni. Per quanto concerne infatti l’edificazione della chiesa
gesuitica ricordiamo che la posa della prima pietra risale al 1601 mentre
la sua consacrazione è datata al 1622, con la chiesa ancora da ultimare :
la chiesa infatti venne ultimata soltanto nel 1730 mentre proseguirono
ininterrotti i lavori relativi alla residenza collegiale. Senza
addentrarci in lungaggini storiche e venendo al nocciolo del discorso
diciamo che l’entrata e la facciata di San Pietro, posta quasi ad angolo
con piazza “Margherita”, già orto della famiglia De Magistris, nella
sua elementare semplicità e funzionalità
corrisponde ad un preciso stile di “architettura povera”, tanto
cara ai padri Gesuiti in ossequio al loro
“stile architettonico gesuitico” e praticato in modo così
efficace laddove fosse stato possibile approfittare di materiali locali (
pietra calcarea , mattoni e canali ) , a basso costo ma non per questo
scadenti , per la realizzazione della struttura progettata , soprattutto
utilizzandoli per la composizione della facciata di una chiesa .
Tale
metodo e stile gesuitico fu adottato a Sezze dai padri diretti da Claudio
Acquaviva che affidò al padre De Rosis , peraltro eminente architetto, la
realizzazione del complesso architettonico. Per
la prima costruzione della chiesa , e della sua facciata , furono ordinati
e forniti svariati materiali laterizi tra cui ricordiamo una prima messa
in opera di 1800 mattoni e di 1000 canali (coppi).
Chi
ricorda la struttura esterna di facciata della chiesa di san Pietro,
inopinatamente ristrutturata senza rispetto dell’antica struttura in
lesene di calcare e di cortina a mattoni, non potrà non biasimare tale
intervento di recupero architettonico che ha previsto un’intonacatura di
facciata assai discutibile e che , pur rifacendosi ad uno stile
costruttivo gesuitico diffuso in molte parti d’Italia , non tiene conto
della peculiarità della costruzione setina in cui sono stati usati i
locali mattoni e il locale calcare.
L’architetto
De Rosis , per i suoi ideali costruttivi di essenzialità messi in atto in
tutte le sue opere, adottò per san Pietro il “modo
ideologico” dei gesuiti, una progettazione che prevedeva
funzionalità ed economicità costruttiva nonché semplificazione delle
forme; una precisa semplificazione , quindi , che doveva distinguere la
semplicità di tante famose chiese gesuitiche prima che fossero
appesantite da opinabili decorazioni barocche.
La
partitura di facciata della nostra chiesa venne quindi inquadrata da un
semplice ordine a fasce in pietra calcare. Le ali estreme della facciata
presentarono in alto una cornice di poco arretrata rispetto al filo del
timpano centrale. Sullo stesso tono costruttivo vennero composti altri
elementi decorativi di facciata ( fasce, mensole e modiglioni...). Precisiamo quindi che ai primi spettatori, quelli che videro la nuova chiesa di san Pietro nei suoi primi anni di costruzione (1595-1608), la suddetta facciata si presentava in modo diverso dai nostri ultimi trascorsi (1950-1999). Infatti i mattoni della facciata furono utilizzati e messi a “cortina” in fasce alternate di colore giallo-paglierino e marrone-rossiccio, allo scopo di ottenere un ricercato effetto cromatico. I mattoni utilizzati, appositamente policromi, vennero impiegati quasi a contrappuntare l’estremo rigore della progettazione planimetrica della Chiesa. Anche il timpano posto in cima alla facciata venne impiegato come elemento decorativo per nobilitare la semplicità della costruzione, al di là del suo aspetto sobrio e severo. L’uso
della muratura di mattoni nella facciata di san Pietro avvicina tale
chiesa a quella di Ancona, che presenta un medesimo ordine di laterizi.
Allo stesso modo la chiesa , sempre per la citata struttura in laterizi,
è simile a quella di Arezzo, di Fabriano, di Fermo, di Macerata, di
Perugia e di Recanati e, per finire , a quella di Tivoli. Similmente
progettate furono anche la chiesa gesuitica di Catanzaro e quella de
L’Aquila. |
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Veduta del centro storico di Sezze dove la chiesa di San Pietro assume un essenziale punto di riferimento |
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Dove sono andati a finire quei bei mattoni policromi di inizio seicento o, se non altro, quei bei mattoncini rossicci, inquadrati appositamente in fasce di locale pietra calcare ? Frettolosamente, inopinatamente e sprovvedutamente ricoperti da un monocromo intonaco che ha sbiancato la facciata di san Pietro regalandole, con tale pallore, un aspetto di smunta ottuagenaria ! Tale è risultato l’intervento di restauro effettuato con poco studio, poca pazienza, poca avvedutezza e con poco rispetto dell’impatto ambientale. Ma soprattutto tale intervento è risultato poco rispettoso dell’originario complesso dell’Arce setina e dei canoni costruttivi originari di padre De Rosis e dei padri Gesuiti. |
...quel campanile non è più così Stupenda questa prospettiva ripresa da Massimo Rovere dove appare evidente l'uniformità dei materiali, i mattoncini della facciata, dell'orologio, del campanile e i coppi rossi dei tetti, scelti dagli architetti Gesuiti che Carlo nel suo articolo ricorda. |
Eppure
non erano mancati , né mancano tuttora, peculiari studi architettonici
sulla trasformazione e la conservazione del tessuto dell’acropoli di
Sezze che ha quasi definitivamente perduto le sue particolari originalità
ambientali ed architettoniche. Vogliamo
qui ricordare ,
fra tutti , l’immenso lavoro di approfondimento culturale ed
architettonico svolto negli ultimi anni dall’architetto
Giancarlo Palmerio che molto si è profuso per l’analisi
e lo studio di restauro e/o recupero di tutto il complesso tessuto che
insiste nel centro cittadino, già arce, acropoli del paese, in cui
sorse e si sviluppò in periodo romano, attorno al tempio di Ercole,
tutta la struttura di Setia, Secia, Sezze. L'Acropoli Setina con la costruzione gesuita in evidenza la dove si ergeva il tempio di Ercole (Gianni Vicaro)
Tale
studioso, che a tutt’oggi ancora non riesce a vedere una pratica
applicazione delle sue indicazioni di recupero e restauro di tale
complesso setino, ci ha lasciato per gli opportuni interventi
conservativi ben tre approfonditi lavori sul Collegio gesuitico e sulla
Chiesa di san Pietro. Noi, come lui,
speriamo ancora che non tutto sia perduto e che molto ancora si possa
recuperare e conservare dell’acropoli setina e della Chiesa di san
Pietro, rimettendo tutto agli interventi futuri dei dovuti
amministratori civili e religiosi. Ai posteri l’ardua sentenza di
giudicare quanto detto e fatto finora. Noi , umilmente, “chiniam la
fronte al Massimo Fattor...”, senza peraltro restare oziosi,
nell’attesa di ulteriori e futuri lavori ed interventi a tal
proposito. Sezze, settembre 2001.
Carlo Luigi Abbenda |