San Pietro

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C’era una volta....la chiesa di San Pietro a Sezze

L'Articolo dell'avvocato Antonio Campoli, studioso e ancor prima amante delle cose di Sezze, è stato pubblicato sul mensile culturale NUOVA INFORMAZIONE del mese di luglio 2001. Con l'autorizzazione del Direttore Responsabile della rivista Fancesco Petrianni ho ritenuto doveroso e importante riproporlo su queste pagine corredandolo di foto mie e del mio amico Massimo Rovere che qui accanto ho ritratto in un momento d'oro per la fotografia a Sezze.

9 Maggio 1992, l'avvocato  Antonio Campoli analizza le foto della mostra "Immagini in Libertà" organizzata nelle sale dell'antiquarium Comunale dall'Associazione Fotografica Setina Tina Modotti; con lui uno degli autori nonché esponenti della fotografia di Sezze, Massimo Rovere.

Ho sottolineato spesso alcune storie di Sezze con una rubrica, durante un decennio, e intitolata: “c’era una volta”. Questa frase, sintomatica per certi avvenimenti e per alcuni personaggi che riuscivo ad annotare, è ritornata prepotente anche in questa circostanza perché debbo raccontare una favola: c’era una volta la Chiesa di San Pietro.

Fu edificata nel 1589 secondo alcune fonti, in base a documenti rinvenuti nella stessa chiesa, pare che sia stata costruita nel 1600.

Il comune di Sezze partecipò cospicuamente alla realizzazione dell’opera con un contributo di settantamila scudi; una somma davvero ragguardevole. Ne valeva la pena perché la chiesa è rimasta sui libri della storia dell’arte come esempio fulgido di sobrietà di linee e delicati profili.

La fabbrica trovò il suo luogo sul demolito cenobio parrocchiale di San Nicolò.

Tale costruzione comprendeva la chiesa di San Pietro e il Collegio dei Gesuiti.

Il fine principale fu quello di creare un luogo di studio e di istruzione e con la condizione di reversibilità al Comune di Sezze nel caso di abbandono da parte dei Gesuiti.

La stupenda foto di Massimo Rovere da dove si capisce che la lavorazione a mattoncini è stata una scelta ben precisa dell'architetto che ha progettato la chiesa finita di costruire nel 1622

Quando Clemente XVI soppresse la compagnia di Gesù con il breve Dominus ac Redemptor noster del luglio 1773, la chiesa e il collegio passarono nelle mani del governo del papa. La Congregazione dei Cardinali, che aveva l’amministrazione del Collegio, decise di nominare un nuovo amministratore  per regolare il “temporale economico di detto Collegio”. Con l’arrivo di Napoleone i beni tutti passarono al Demanio.

Nel 1815, la Compagnia di Gesù tornò a Sezze occupando la Chiesa ed il Collegio reclamando il possesso di tutti i beni e dopo una lunga ed estenuante causa con il Comune di Sezze che aveva cercato di avocare a sé tutti i diritti dei beni controversi perché unica e sola proprietà e perché concessi al solo scopo di istruzione, fu emanato un rescritto sovrano con il quale fu deciso che i beni sarebbero stati resi solo ad reditum Istuitarum. Il Comune di Sezze dovette poi arrendersi definitivamente quando tutti i beni furono concessi in enfiteusi al seminario della Diocesi. Restò però una condizione che salvò almeno in parte le aspettative della intera cittadinanza e cioè che i Sezzesi potessero frequentare da esterni le scuole del Seminario che da allora, per convenzione, si chiamò Seminarium Diocesanum et Setinum Lyceum.

La Chiesa di San Pietro, con la sua splendita facciata rivestita con mattoni rossi delimitati da

ampie lesene di calcare locale, restò sempre un momento di prima grandezza per la storia di Sezze. Il suo ampio timpano, con l’apertura circolare al centro, mostra ancora l’emblema dei Gesuiti abraso dalla mano dei rivali che avevano occupato il tutto dopo il 1773. Quando poi la Compagnia di Gesù ritornò a Sezze installò un altro stemma, più grande e più luminoso, ponendolo sopra la porta d’ingresso della Chiesa. La torre campanaria è stata restituita alla sua straordinaria bellezza da Padre Reginaldo con la sistemazione dell’orologio originale e funzionante: lo stesso orologio che sta nel Palazzo di Montecitorio.L’interno della Chiesa è ad una sola navata con quattro cappelle laterali e dotata di un soffitto con cassettoni di legno di squisita fattura. Dopo la chiusura di Sant’Angelo adibito ad Auditorium, San Pietro è diventata parrocchia.

Questa chiesa è stata sempre nel cuore degli abitanti di Sezze perché è rimasta la sede di tutte le funzioni più importanti della liturgia cattolica anche dopo il 1870 quando i Gesuiti se ne andarono definitivamente. Chi può dimenticare l’Oratorio, l’Agonia, e dal 1933 l’uscita della processione del Venerdì Santo?

Per qualche mese la facciata è stata coperta da teloni issati su ponteggi: sono in corso lavori. Un vistoso cartellone ammannisce nomi degli architetti, degli ingegneri, quello della ditta esecutrice dei lavori, dei responsabili vari. Riassumendo sul cartellone è scritto di lavori di restauro e risanamento conservativo delle coperture e delle facciate con progetto finanziato con il contributo della Regione Lazio del 22 agosto 1998, con il contributo della coferenza episcopale italiana, dei beni culturali e con il parere rilasciato dalla Sovrintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio e dulcis in fundo, con la Concessione Edilizia rilascata dal Comune di Sezze in data 6 giugno 2000.

Quando si è alzato il sipario, agli occhi sbalorditi del cittadino è apparso uno spettacolo da

Grand Guignol

la facciata è stata travisata senza intelligenza e senza gusto. Anziché consolidare, invece di pulire e rigenerare i mattoni rossi usciti dalle antiche fornaci locali più di quattro secoli fa, gli antesignani della civiltà dell’orrore, hanno trasformato la facciata della Chiesa di San Pietro in una “meringa” avrebbe detto il critico d’arte Vittorio Sgarbi.

Invece di limitarsi a togliere qualche erbaccia, hanno tolto il sapore, hanno tolto il colore, hanno distrutto l’atmosfera, cancellato la storia, dissipato la civiltà. 

Questa foto è stata eseguita il 22 aprile 2001, è evidente che condivido tutta la rabbia e l'amarezza espressa nell'articolo di Antonio Campoli.

Invece di effettuare lavori di autentico restauro, anziché risanare e conservare la chiesa, come sfrontatamente è scritto sul tabellone, hanno spalmato calce e la vecchia, la bella, l’antica facciata di mattoni rossi che la sera, al tramonto, si accendevano di luce divina, è diventato un osso sbiancato di bufala leccato dalla poderosa lingua di una mucca pazza. Così a Sezze è stata sottratta una chiesa.

Dinanzi ad un orrore del genere, ci chiediamo che pena meritino il politico o il Soprintendente che lo hanno ispirato e autorizzato. E ci domandiamo: la Commissione Edilizia del Comune di Sezze non ha attentamente esaminato il progetto prima di rilasciare la concessione ? Aveva tutte le facoltà per opporvisi e pertanto si è complici della “dissacrazione della chiesa” non avendo esercitato un suo sacrosanto diritto.

Sommessamente, visti i degradi e gli scempi operati su tutto il territorio e su quasi tutti i monumenti di Sezze, credo che la pena appropriata sarebbe, si fa per dire, l’ergastolo o vederli magari, i responsabili, appiccati in eterno, sulla calce che ha coperto i mattoni rossi della facciata di San Pietro, avvilita permanentemente con sfrontata ignoranza.

Sezze, Aprile 2001.

                                Antonio Campoli

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