NUOVA INFORMAZIONE

"ANNINA"

 

Tragedia in dialetto sezzese di Luigi Zaccheo

17 gennaio 2004 - ore 18,00

Cattedrale Santa Maria - Sezze

presentazione della tragedia "ANNINA" scritta dal Prof. Luigi Zaccheo

nella foto la protagonista della tragedia "Annina". (arc. L.Zaccheo)

nella foto Sezze 1920 ai tempi in cui è ambientata "Annina". (arc. L.Zaccheo)

Si ringraziano:

L'Arciprete - Parroco Don Luigi Libertini

Il Presidente della XIII Comunità Montana - Dr. Domenico Guidi

Relatori:

Senatore Luigi Zanda

Dott. Bruno Raponi, Presidente Tribunale di Latina

Interverranno:

Consigliere comunale Titta Giorgi

Dott. Franco Lazzaro, Procuratore della Repubblica aggiunto di Latina

Prof. Fausto Orsini, Preside I.T.C. Vittorio Veneto di Latina

Per l'occasione il noto attore Stefano De Sando reciterà alcuni brani della tragedia

L'attore Stefano De Sando con Luigi Zaccheo

 Luigi Zaccheo espone l'opera

L'attore Stefano De Sando legge alcuni brani della tragedia

Il Presidente della XIII Comunità Montana, Domenico Guidi

Il Senatore Luigi Zanda esalta il valore dei dialetti

Un'Italia che cela dietro ai dialetti un immenso tesoro

Il Presidente del Tribunale di Latina, Bruno Raponi

Proposto un premio letterario per opere dialettali

Il Dott. Franco Lazzaro

L'espressività dialettale va protetta

De Sando ricorda di essere setino solo di adozione

Il cattivo della Piovra e del Maresciallo Rocca

Titta Giorgi ha organizzato la serata

Il Preside Orsini sottolinea l'importanza dei termini dialettali

...ficora, precoca, perseca...

Zaccheo chiama Bernasconi a leggere ANNINA

Toccante interpretazione di Arianna Bernasconi

Felice Zaccheo ha presentato la serata

"ANNINA"

commento di Arianna Bernasconi

Sabato 17 Gennaio 2004 il Prof. Luigi Zaccheo ha presentato presso la Cattedrale di Santa Maria il suo ultimo lavoro, una tragedia in dialetto sezzese  dal titolo “Annina”.

Erano presenti all’incontro il Senatore Luigi Zanda, il Dott. Bruno Raponi Presidente del Tribunale di Latina, il consigliere comunale Titta Giorni, il Dott. Franco Lazzaro, il Prof. Fausto Orsini e il Presidente della XIII Comunità Montana Domenico Guidi.

La serata è stata poi allietata dalla lettura di alcuni passi della tragedia da parte del noto attore Stefano De Sando già presente a Sezze in occasione della Passione di Cristo 2002.

Tema della serata il dialetto, il suo ruolo e le sue funzioni nell’ambito sociale odierno.

L’incontro si è aperto con una breve introduzione di Felice Zaccheo che ha curato l’editing e il progetto grafico del testo, seguito dall’intervento del presidente della Comunità Montana Domenico Guidi che in breve a cercato di dare una definizione di dialetto inteso come “sana educazione verso una realtà sociale che porta alla riconquista della Comunità”.

Si racchiude così in poche parole la questione del dialetto come lingua in declino.

Anche nella prefazione del libro tale problema è affrontato chiaramente dall’autore.

Oggi non si parla più il dialetto di una volta, da una parte perché molti termini legati ad alcune circostanze sono caduti in disuso, dall’altra la vergogna di parlare in dialetto, di essere presi in giro per l’uso che se ne fa.

Una vera e propria lezione di dialettologia c’è stata data dall’intervento dell’Onorevole Zanda il quale prende come esempio il dialetto sardo e quello romano, dialetti parlati dalle classi più agiate, per far capire che spesso erroneamente il dialetto è identificato come lingua del popolo invece di attribuirle una validità nazionale.

E’ il dialetto che definisce le particolarità di un popolo, che ci insegna chi siamo, come ci siamo formati, da dove veniamo.

Il dialetto, spiega Zanda, ci aiuta a definire i nostri confini regionali, dove la varietà linguistica non è disgregazione ma unità nazionale.

Zanda attribuisce a questa tragedia due marchi, uno culturale e l’altro istituzionale: culturale nel senso di rivalutazione e difesa del patrimonio dialettale da parte di tutte le comunità; istituzionale nel senso della funzione civile che quest’opera ha portato e porterà alla nostra comunità.

Nasce così una proposta condivisa da tutti i presenti, la realizzazione di un Festival dialettale nel Lazio dove Sezze sia proclamata “Capitale di un nuovo genere letterario, capitale di un centro studi sul dialetto”.

L’intervento di Bruno Raponi si è basato su un’analisi dell’opera nella quale il Presidente del Tribunale di Latina rintraccia uno scrigno di situazioni dove gli argomenti di base sono stati così riassunti: AMORE / MORTE / MIRACOLO.

In questa simbiosi di sentimenti Zaccheo descrive non solo una storia drammatica, ma mette in risalto attraverso questo dialetto onomatopeico tutto ciò che è “sezzese”, usi, costumi, luoghi.

Interessante in questo senso sono le foto riportate nel testo le quali pur rappresentando luoghi storici di Sezze, vengono usate dall’autore come luoghi di ambientazione della stessa tragedia.

Franco Lazzaro nel suo breve intervento, definisce il testo un libro tascabile, tutti sono però d’accordo sul fatto che Luigi Zaccheo è riuscito benissimo nel suo intento quello di dare un valore al nostro dialetto, un valore per il quale Titta Giorgi e il vice sindaco Ciarlo ringraziano.

Infine il Prof. Fausto Orsini spiegando i canoni della tragedia classica ha elencato e analizzato quegli elementi che definiscono questa tragedia tratta dall’Alcesti di Euripide.

Dunque un invito quello che Zaccheo ci propone: non dimentichiamo il nostro dialetto, non neghiamo le nostre usanze e rivalutiamo le nostre origini.

Un buon sezzese deve usare il proprio dialetto e fare in modo che continui il suo sviluppo poiché  “ Se vuoi essere universale,scrivi del tuo paese.” (Balzac)

NON LO DIMENTICHIAMO!!!

 

Il Vice Sindaco di Sezze, Giuseppe Ciarlo, durante il suo intervento

di seguito l'articolo di Luigi Zaccheo tratto da nuova informazione / ottobre 2003

Lo stesso dialetto è ormai un fatto di folclore, si conserva la fonia, ma il lessico è quasi finito e per sempre. Le giovani generazioni non lo parlano più e molto spesso si vergognano di esprimersi in dialetto per non essere oggetto di pesante ironia da parte dei numerosi italofoni. La scomparsa della società agricola ‑ pastorale ha portato con sé la perdita dei numerosi vocaboli legati a tale società. Ora il dialetto, e non solo a Sezze, viene usato per far ridere, per raccontare alcune barzellette o per macchiette di costume, declassato al solo ruolo buffonesco. Eppure fino agli Anni 60 del secolo appena trascorso, in occasione della veglia notturna per la morte di un congiunto le donne per molte ore piangevano e si lamentavano del grave lutto avvenuto in dialetto, senza certamente suscitare la benché minima ironia, anzi coinvolgendo i presenti nella loro angoscia. Volutamente e scientemente ho voluto rivisitare la tragedia Alcesti di Euripide scrivendone un libero rifacimento, proprio per affrontare con l'ausilio del solo dialetto il tema della morte, del lutto e del dolore, evitando le banalizzazioni e soprattutto le macchiette folcloristiche e per dimostrare quindi l'efficacia dell'idioma locale per manifestare tutta la gamma delle sensazioni e delle emozioni legate all'esistenza dell'uomo.

Se nel rappresentare al pubblico la tragedia "Annina" non ci saranno risate facili e grasse provocate dal solo uso del dialetto, allora avrò raggiunto lo scopo che mi sono prefissato, che è quello di conservare la valenza comunicativa della "lingua" sezzese.

Ritengo che le future generazioni debbano conoscere correttamente la lingua italiana e alcune lingue straniere, per essere a pieno titolo cittadini europei e del mondo, ma è altresì importante che non perdano la conoscenza del proprio dialetto, per non smarrire la propria identità, la propria peculiare cultura, in ,una parola se stessi. Condivido appieno le parole di Balzac: "Se vuoi essere universale, parla del tuo paese", perché l'uomo senza profonde radici, come l'albero, è destinato a perire e a smarrirsi nella globalizzazione. La brutta parola coniata di recente "glocalizzazione" (dall'unione di globale e locale) sicuramente fa giustizia di tanti discorsi tenuti per sradicare l'uomo dal suo ambiente e per averlo più docile consumatore di prodotti mondiali.

Scrivere la tragedia Annina, libero rifacimento dell'Alcesti di Euripide, non è stato affatto agevole e piacevole, perché con la memoria sono dovuto ritornare ai lamenti delle donne durante la morte di loro congiunti e soprattutto ho dovuto far rivivere la pesante atmosfera che si respirava in quelle occasioni. In fondo la festa finale con cui si conclude la tragedia Annina potrebbe richiamare la tradizione del "consulo" (grande atto di generosità dei vicini nel fornire un pranzo ai parenti del defunto) che rappresentava il ritorno alla normalità della vita quotidiana, dopo che la salma, con tutti gli onori dovuti, era stata seppellita.

Spero con questo lavoro di aver contribuito, anche se in minima parte, alla salvaguardia del dialetto di Sezze, dialetto ricco di storia e di tradizioni sontuose.

Si riportano alcune parti della tragedia "Annina":

Michele Arcangelo:

A tucchi quanti vóglio raccunta' la stória de le strette e de le caci de Sezze, addo' ci so' abbitato pe' mici, 'nzéme agli utteri e a gli uarzuni e addo' me so' magnato la menestra de fasogli co' gli broccolecchi e le ciammaruche. E penza' ca i' so' i capo de tucchi gli angeli. Ma la cólepa è stata di san Carlo, che ha fatto muri' niputemo Toto co' 'Ile mazzesbote e non gli ha saluato. I' me so' celato e cogli panno agli ócchi so' attrippato di zacconate i fraticegli che stevano a gli cummento de gli Zoccolanchi. San Carlo non me ha fatto mori' puro a mmi, 'mbro' so' tenuto da i' a fatia' e a fa' i seruo alla casa de n'omo, de nù cristiano; própeta i' che so' i' capo de gli angeli!

 

Da gli ciélo so' venuto così a Sezze e a gli padrono, che m'ha uoluto bbèno e m'ha dato da dormi' e da magna', ci so' fatto i' craparo, i' pecuraro, i' porcaro e gli so' saluato da tucchi i malagni e i patiminchi.

 

I padrono me', Saturno, i' figlio di Leonzio, era bbéglio che mórto, ma io so' 'mbrugliato la Morte, e gli so' saluato, mbrò so' tenuto da fa' nu patto: che n'atro moresse a gli pósto séio.

 

Saturno, cuntento accomme a 'na Pasqua pe' 'sta occasione, l'ha ditto de mori' a gli pósto séio, a tucchi, ma própeta a tucchi, a gli patro, uecchio e struppio, alla madre uecchia e mesa cieca, ma niciuno ha ditto sì, perché quanno sù mórto non uidi più i' sólo. Schitto 'na femmena ha ditto de sì e mò dentro la casa tra lumo e lustro, a cecalume, sta a iala' 'mméso a gli figli. Própeta óie è la jornata che ci attòcca, essa tèta mori' pe' sempro.

 

I' ormai non ci pozzo fa' più niente e nun óglio vede' mori' la padrona méa, ca ci so' 'oluto bbèno assai.

 

La Morte è uenuta, ha raperto gl'uscio della casa e se stà pe' purta' agli atro munno quella pòra femmena. Nun ci stà niente,da fa', la Morte steva aspetta' apposta e mò se la tòlle, non zé fa scappa' la pòra crista.

 

Lidano:

Téngheta i' pe' la Schiazza, téngo chiappa' tutti i cranunchi, non gli téngo fa' uria' ppiù, e téngheta fa' tanti lavuri pe' le fusselle.

Capocoro:

Ma accomme fai, nun cunusci i pósto, ci stao i saiattuni e dóppo i sarmonetani te tirano i sassi, te chiappano a passonate e te fao fuzza' le recchie.

Lidano:

E' vero, nun ci so' stato mai, ma m'ólo ditto ca téngheta i' uicino a gli archi e allòco fa' quello che m'hao ordinato.  

Capocoro:

 Nun pu' fa' sta queti i cranunchi e scaccia' i sarperiti se prima nun dai a zzuè a tut ti, animagli e cristiani.

Lidano:

 Ma gli abbato m'ha ditto ca téngheta i' a gli archi e a mmi nun me fa paura niciuno. Faccio quello che m'hao ditto.

Capocoro:

 Sappi, 'mbro', ca o uinci tu o te fao la ghirba.

Lidano:

 lo so' abbituato a gli patiminchi e a i' sempre annanzi, nun téngo paura manco de l'ombra méa.

Capocoro:

 0 Lidano d'Antena, ma quanno puro su' uinto, che ci arammidii tu?

Lidano:

Faccio sta queti i cranunchi, caccio i sarpenti, scampo i spinacaci e le mura, dóppo 'ncomincio a costrui' 'nu monastero.

di Luigi Zaccheo

Arianna Bernasconi ha recitato le parti più toccanti della tragedia, registrate anche per Tele Lazio.