SEZZESE

anno 2009 - 2010

28 dicembre 2010 

Campoli ci ripensa

di Ignazio Romano
Tutto torna in ordine e, nuovamente in accordo con quella maggioranza che appena 20 giorni fa stava svilendo il programma di governo, ieri Campoli ha ritirato le sue dimissioni dichiarando di voler attuare tutte le opere iniziate e da iniziare nei restanti 18 mesi di governo. 

Bene, ma visto che non l'ho letto sui giornali, penso di interpretare il pensiero dei miei concittadini nel ricordare al sindaco che tra le priorità c'è l'ultimazione dei lavori su via Ninfina, che tanti problemi crea a chi deve uscire ed entrare quotidianamente da Sezze. Dieci mesi di disagi possono bastare. Poi c'è l'apprensione per le sorti dell'ospedale, di cui non sappiamo più nulla dal 9 di novembre, così come non sappiamo nulla sulla qualità dell'acqua che esce dai nostri rubinetti, ne se la presenza dell'arsenico è nei limiti di legge o meno.

Direi che, senza scendere nei particolari, una volta ultimate opere come i campi da tennis e l'anfiteatro, che per decenni hanno dato lustro al paese ed oggi sono cantieri, si può tornare a parlare delle telenovelas del Prg, della piscina comunale, del rilancio del centro storico fino ad arrivare a parlare di sociale e di cultura con la realizzazione della città dei giovani e della via setina. Andrea Campoli fa bene a provarci, ma ci sono troppe persone vicino a lui che hanno obiettivi ben diversi dallo sviluppo e dal bene della comunità, tant'è vero che Sezze da 30 anni attraversa un periodo di stallo e involuzione in ogni settore.


8 dicembre 2010 

Le dimissioni di Campoli

di Ignazio Romano
Ancora non si accendono le luci del "Natale setino" che una valanga di "cenere e carbone", in anticipo sui tempi, frana improvvisamente sul comune di Sezze sconvolgendo quella calma apparente su cui tutti noi, infondo, speravamo, ma sulla quale in molti ne hanno approfittato.

Ed allora Andrea Campoli, il bravo ragazzo sempre disponibile e sempre presente, fa un gesto di dignità e da le dimissioni. Politicamente tattico o no, ora il rischio per il paese è di tornare ad essere commissariato.

L'ennesima sconfitta morale di una classe dirigente che di fatto ha tolto ogni speranza di futuro al nostro territorio. E la "cenere e carbone" è quello che merita chi negli ultimi 30 anni ha oziato, impedendo a chiunque di muovere un dito per lo sviluppo e la crescita di questo paese.

E non parlatemi di centrosinistra e centrodestra, è di morale e onestà che c'è bisogno a Sezze.


30 novembre 2010 

Auguri a setino.it

di Vittorio Del Duca

Approfitto per farti gli auguri per il 10° anniversario di Setina Civitas e quindi anche del portale Setino.it, ma anche per i tuoi primi cinquanta anni, che penso sia una cosa abbastanza recente. 

Ti dirò che. siccome non dimostri questi anni,  mi è passato per la mente che la
candelina dei 50 fosse riferita… al gatto.  Povero gatto, scherzo!  

Per il resto condivido anche le virgole del tuo commento al 10° anniversario, specie
laddove parli dei depositari della "conoscenza sterile" con i quali spesso mi sono
scontrato anch'io e  qualche volta assieme a te. 

Ti assicuro che sono tantissimi, forse più di quelli che io chiamo i depositari della "conoscenza interessata". 

Comunque non scoraggiarti mai, persevera nella tua azione sociale ed in quello in cui credi di più, perché tutto quello che hai fatto e continuerai a fare per il  paese è pienamente condiviso dai cittadini di buon senso, che amano  questo paese e che ti stimano e ti apprezzano per la tua nobile opera.  

Io, dall'esterno, ti assicuro di aver notato tutto questo, ne sono felice e, per quello che potrò fare, non verrà  mai meno il mio apporto.


29 novembre 2010 

A setino.it

di Franco Abbenda

Auguri perché…già 10 candeline.

Auguri perché…ci trovo molti punti di vista.

Auguri perché…le tue foto sono bellissime.

Auguri perché…ti conoscono anche i miei amici lontani.

Auguri perché…ogni tanto ci trovo pure qualche errore.

Auguri perché…ora ci metti meno tempo, con l’ADSL, a caricare le pagine.

Auguri perché…aiuti a far circolare le idee.

Auguri perché…sei sempre aggiornato.

Auguri perché…dai spazio a chi ti chiede un aiuto.

Auguri perché…con te ho appreso molte cose su Sezze, quella antica e quella nuova.

Auguri perché…molti ti vorrebbero più allineato.

Auguri perché…ti vorrei più agguerrito.

Auguri perché…ci stanno pure i video.

Auguri perché…sei il sito internet “setino” più completo.

Auguri perché… a qualcuno dai fastidio.

Auguri perché…non cancelli mai nulla.

Auguri perché…c’è ancora chi dice di non conoscerti.

Auguri perché…non parli solo di Sezze.

Auguri perché…hai sempre qualcosa di nuovo da raccontare.

Auguri perché…mi aiuti ad essere informato sul mio paese.

Auguri perché…c’è pure De André.

Auguri perché…devi ancora crescere.

Auguri perché…non sei soltanto il sito internet di un amico.


11 novembre 2010
Riflessioni : la chiesetta di Sant’Antonio

di Vittorio Accapezzato

Sulla piazzetta di ferro di cavallo
contemplo nel primo pomeriggio
le pietre del passato.
Vedo la chiesetta Sant’Antonio
che piange il suo stato di abbandono,
e il suo vecchio campanile.
La vecchia campana è lì muta,
a due passi dalla scalinata della chiesa,
senza più il suo timido rintocco della sera.
L’antico portone è rimasto lo stesso
e le sue antiche pietre si stendono 
tutte stanche, corrose e disgregate.
M’ha chiamato con voce debilitata e fioca 
“guarda a che solitudine m’han lasciato
e m’ha mostrato le finestre mute.”
E dagli infissi vecchi e cadenti, fili di luce
illuminano l’altare pieno di ragnatele
e di ricordi di grazie ricevute.
La statua del Santo ancora rivestita 
di doni d’oro, fa sentire l’area antica del passato, 
quando i fedeli l’han sempre venerato.
Si svegliano i ricordi: una processione lunga, senza fine.
una fede sacra ti entrava dentro il cuore
al grido di “evviva Sant’Antonio protettore.”
Man mano il corteo s’ingrossava
per la presenza di successivi arrivi 
di donne a piedi nudi con i ceri accesi.
Il tono dei canti era commovente
e con viva voce partecipavano le genti
elevando al cielo preghiere solenni.
I degenti del civico ospedale visitavano 
la chiesa e il Santo a tutte le ore 
a chiedere grazia di futura guarigione.
Ora il portoncino è trascurato e triste,
ha gioito nel risvegliarmi
e m’ha pregato di lottare per salvare lui.
Così come la politica ha chiuso l’ospedale,
la chiesa ha perduto i veri pastori
e l’uomo quasi tutti i suoi valori.


10 maggio 2010

Tra i vari elaborati presentati al premio di poesia "Sezze in dialetto", indetto dall'Amministrazione Comunale in occasione della 41° Sagra del Carciofo, ci sono due lavori di Franco Abbenda  

Gli alberi di San Pietro

I’ mi ‘i ricordo quand’era mammóccio,

ma so ûisto le fotografie di cent’agni fa

e già steûeno alloco ‘n cima,

‘ntorno alla fontana ‘n faccia agli Cummùno.

Nun s’oûo mai mòsci,

sempre piazzati agli sòlo più bbéglio,

ti guardono da ‘ncima a sòtto e ridono

a com’a chì ci staûo schitto isci.

I piantorno zèchi zèchi

quando ancora s’usavano i cuncùgni,

oûo fatto ombra a pino di gente

e resistìto a ûento, neûe e moschicchi bianchi.

Ma n’zi saraûo straccachi

di sta’ sempre agli méglio pòsto,

d’esse riûeriti a destra e manca

e di campà senza sudà?

Ni conosco dòa accòmme a quigl’alberi!

Oûo misso le radici da quel dì

e nun lassano i’ pòsto nì a mi, nì a ti.

Gl’aricunùsci sùbbito, staûo sempre ‘n méso:

“atècco si fa accusì…”, “alloco ci tenca pensà…”

ma i’ culo dalla sèta nu’ gli ûolo spustà!

 

***

‘Sta cica di pensióne

Che ti pòzzo fa’, figlio bbóno mé ?

Patto s’accìso a zappà carcióffole,

a còlle pommodori sott’a sólo

e a rifà ‘sta cica di casa.

T’aricurdi accome diceûa sempre ?

“ I’ primo figlio mé

pe’ le tère ‘n cì teta ì

a spaccarsi i rigni notte e dì ”.

Tu ti ni ischi a Roma all’Università

e isso nu’ ieûa manco più da Fargiagni;

mèsa bira a casa, le cartine pe’ fumà

e ‘na partita a scopa pe’ la Croce.

Quando si sentiûe malo

vennèmme puro gl’òrto agli Palazzo,

tanto c’avarischi pututo fa’…

iri bbóno tu a piantà i cipollicchi?

A cagnàto i munno tutto ‘nzeme!

I’ pézzo di carta chi ti su tùto tu

pure gl’Onorevole dice ca ‘n cònta più.

Puss’esse’ binidìtto addò sta mo’, marìtimo!

I laûoro pi ti… manco più cù la raccomandazione.

Minomàlo ca m’a lassato ‘sta cica di pensióne.


9 maggio 2009 

Se voi foste persone normali

di M. Ovadia

Se foste un rom,

quella di Salvini non vi apparirebbe

come la sortita delirante di un imbecille da ridicolizzare.

Se foste un musulmano,

o un africano, o comunque un uomo dalla pelle scura,

il pacchetto sicurezza non lo prendereste solo

come l’ennesima sortita di un governo populista e conservatore,

eccessiva ma tutto sommato veniale.

Se foste un lavoratore

che guadagna il pane per sé e per i suoi figli su un’impalcatura,

l’annacquamento delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro

non lo dimentichereste il giorno dopo per occuparvi di altro.

Se foste migrante,

il rinvio verso la condanna a morte, la fame o la schiavitù,

non provocherebbe solo il sussulto di un’indignazione passeggera.

Se foste ebreo sul serio,

un politico xenofobo, razzista e malvagio fino alla ferocia

non vi sembrerebbe qualcuno da lusingare solo perché

si dichiara amico di Israele.

Se foste un politico che ritiene il proprio impegno un servizio ai cittadini,

fareste un’opposizione senza quartiere ad un governo autoritario,

xenofobo, razzista, vigliacco e malvagio.

Se foste un uomo di sinistra, di qualsiasi sinistra,

non vi balocchereste con questioni di lana caprina

od orgogli identitari di natura narcisistica

e vi dedichereste anima e corpo a combattere le ingiustizie.

Se foste veri cristiani,

rifiutereste di vedere rappresentati i valori della famiglia da notori

puttanieri pluridivorziati ingozzati e corrotti dalla peggior ipocrisia.

Se foste italiani decenti,

rifiutereste di vedere il vostro bel paese

avvitarsi intorno al priapismo mentale impotente di un omino ridicolo

gasato da un ego ipertrofico.

Se foste padri, madri, nonne e nonni

che hanno cura per la vita dei loro figli e nipoti,

non vendereste il loro futuro in cambio dei trenta denari di promesse virtuali.

Se foste esseri umani degni di questo nome,

avreste vergogna di tutto questo schifo.


20 marzo 2009 

Gestori di interessi

E’ di nuovo tempo di elezioni

di Franco Abbenda

In primavera si voterà per il rinnovo dei rappresentanti nazionali al Parlamento europeo e per eleggere Sindaci, Presidenti provinciali e consiglieri vari.

I partiti già si affannano alla ricerca di alleanze vincenti e di candidati credibili da lanciare nella battaglia elettorale, alla disperata ricerca del “quid” che faccia la differenza.

Tra un po’ i nostri vecchi muri di paese si riempiranno di coloratissimi cartelloni pubblicitari, dove tutti proporranno slogan vincenti e rapide soluzioni agli eterni problemi di sempre.

Solite facce ed illustri semi-sconosciuti faranno a gara per ricordarci, ognuno a modo suo, che dal nostro voto dipende il futuro della società, suggerendoci come comportarci nel segreto dell’urna. Il teatrino della politica andrà in scena come al solito, sempre uguale a se stesso, anche se diverso ogni volta.

“E’ la democrazia, bellezza”!!

Certo, e meno male che ci sono ancora i partiti, soprattutto quelli veri e genuini di una volta, seppur con nomi e simboli diversi, più o meno radicati ideologicamente e non più caratterizzati dalle infinite ed accese discussioni di sezione.

Nobilissime le intenzioni di molti, elettori e candidati, che ancora si battono con passione per offrire il proprio contributo nel tentativo di migliorare le condizioni di vita di tutta la collettività.

Ma c’è anche dell’altro, di meno nobile in gioco.

Dalla nostre scelte sulla scheda elettorale può dipendere il futuro di molti.

Sicuramente quello dei dirigenti di partito, nazionali e locali, eternamente alle prese con la ricerca di un difficile equilibrio, quello da raggiungere a tutti i costi per presentare una compagine  elettorale compatta e vincente.

Chi ne ha fatto esperienza diretta, racconta a mezza voce che in questo periodo pre-elettorale, nelle segreterie di partito ci si imbatte in vecchi veleni e personalismi mai sopiti, in veti trasversali da far valere ed ostracismi atavici, in dimissioni improvvise e in minacciate nuove liste civiche, in fedelissimi da imporre in collegi sicuri ed in immancabili voltagabbana di ritorno da piazzare.

E’ questa l’altra faccia della politica, quella più sporca che si sperava accantonata per sempre, quella che il popolo delle varie primarie pensava di aver debellato definitivamente.

Spesso emergono così personaggi che perderanno rapidamente il legame con la base, la storia e la tradizione sociale del proprio partito, e che, una volta abbagliati da poltrone e prebende di casta, si rinchiuderanno in un’autoreferenzialità in cui potersi muovere liberamente sì da accrescere il proprio personale potere sociale.

Pensando a queste deprecabili dinamiche, ed alla lontananza di certa casta politica, sostanzialmente altra rispetto alla gente “normale” in tutt’altra vita affaccendata, riecheggiano ammonitrici, e per certi versi profetiche, le parole di uno dei più illuminati uomini politici italiani. 

- I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile…zero.

Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune.

La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sottoboss”-    

(Enrico Berlinguer, 1981).


10 febbraio 2009 

La verità sulle foibe

Dal sito http://collettivamente.com/articolo/1450914.html
articolo di Marco Ottanelli, segnalato da Raffaele Imbrogno
"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani". - Benito Mussolini, 1920
Premessa: 

Questa redazione ha, come suo scopo principale, sempre privilegiato quello della ricerca obiettiva della realtà dei fatti, anche quando scomoda e dolorosa. In un momento storico in cui gli eredi del partito fascista sono al governo del Paese, ed in cui la retorica patriottarda risuona ancor più violenta e oscurantista del solito, riteniamo necessario ricollocare storicamente e documentatamente la vicenda delle foibe istriane, vicenda alla quale la destra e le sinistra amorevolmente unite hanno deciso di dedicare una speciale giornata della memoria. Anzi, il ministro Gasparri ha voluto sollecitare tutti i mezzi di informazione liberi ad occuparsi della vicenda. Ci siamo occupati di questo aspetto nell'articolo "Ultime dal Minculpop".La nostra redazione ha partecipato ad una trasmissione radiofonica - trasmessa da Controradio- che è servita a far luce e a chiarire la verità, appunto, di quel tragico periodo. L'audio completo della trasmissione, cui hanno partecipato Raffaele Palumbo, Nicola Tranfaglia, Giacomo Scotti, Marco Ottanelli, Giovanni Bellini, Sandro Damiani è disponibile nel CD intitolato
"l'impunità" in vendita tramite il nostro sito.
Cosa sono, le foibe? Cioè, quale episodio della storia evocano?
In poche ed essenziali parole, sono le foibe (caverne e aperture carsiche del terreno) il luogo in cui, a fine guerra mondiale, furono uccisi e gettati, spesso dopo umiliazioni e tormenti, moltissimi italiani. Gli eccidi ebbero due momenti: il primo, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943, quando si scatenarono vendette e rancori mai sopiti dopo 20 anni di italianizzazione forzata; il secondo, molto più grave per numero delle vittime, nella primavera del '45, quando le truppe titine occuparono la Venezia Giulia, la Dalmazia, Trieste e parte del Friuli.
Le origini antiche di un odio feroce Sia nella Serenissima Repubblica Veneta, sia nell'Impero Austro-Ungarico, il concetto di nazionalità era tanto sfumato quanto poco "etnico". È solo dopo la prima guerra mondiale, cioè quando i nazionalismi si affermano fino a sfociare nei razzismi di Stato, che il Regno di Italia comincia una politica di italianizzazione forzata delle "terre irredente". 

Da ogni regione, piovono funzionari e impiegati pubblici, che sostituiscono i locali. La lingua ufficiale, anzi, obbligatoria, diventa l'italiano, e dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati, proibiti. Se l'effetto di tale norma è assai violento nelle città della costa, dove comunque gli "italiani" erano in maggioranza o assai numerosi, e dove bi e trilingusmo erano la norma, è nelle zone rurali e nell'interno che gli slavi (sloveni, croati, dalmati, cici), in gran parte contadini poco alfabetizzati, si ritrovano ad essere stranieri in patria. Le durissime condizioni imposte dal Regno si fanno ancora più rigide ed intolleranti con il fascismo. Tra gli episodi da ricordare: la chiusura del liceo classico di Pisino, dell'istituto magistrale femminile di Pisino e del ginnasio di Volosca (1918), la chiusura delle scuole elementari slovene e croate, e il confino di alcuni esponenti Sloveni e Croati in Sardegna e in altre località italiane. A ciò si aggiungevano le violenze fasciste non contrastate dalle autorità, come gli incendi delle sedi associative a Pola e a Trieste. 

In Istria l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione e nei tribunali era stato limitato già durante l'occupazione (1918-1920). Nel marzo 1923 il prefetto della Venezia Giulia vietò l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione, mentre per decreto regio il loro uso nei tribunali fu vietato il 15 ottobre 1925. Il colpo definitivo al sistema scolastico sloveno e croato in Istria arrivò il 1 ottobre 1923 con la riforma scolastica del ministro Gentile. L'attività delle società e delle associazioni croate e slovene era stata vietata già durante l'occupazione, ma poi specialmente con l'entrata in vigore della Legge sulle associazioni (1925), Legge sulle manifestazioni pubbliche (1926) e Legge sull'ordine
pubblico (1926). Nel 1927 fu il turno del cambiamento dei cognomi (la toponomastica era già stata italianizzata nel 1923). Così vennero italianizzati quasi tutti i cognomi sloveni e croati. Un vero atto di brutalità verso le identità personali. (Non dobbiamo dimenticarci che tali provvedimenti vennero presi anche a Zara e Fiume, città
"extraterritoriali" che furono annesse a forza dopo la prima guerra mondiale.)
Le leggi razziali antiebraiche e genetiche del 1938 (che seguono le meno famose, meno organiche, ma altrettanto famigerate leggi razziali del '36-'37 emanate nei confronti dei popoli di pelle nera, e altri "coloniali") dividono ancor più la cittadinanza in due categorie, gli "italiani puri" e gli inferiori. Duramente colpita, in particolare, la numerosa e antica comunità ebraica di Trieste, da sempre città cosmopolita e multiculturale.
La seconda guerra mondiale
La ignobile aggressione alla Grecia obbliga i comandi italiani in difficoltà a chiedere l'intervento della Germania, mettendo così fine alla illusione della "guerra parallela". Nel 1941, dopo un criminale bombardamento su Belgrado, che viene rasa al suolo, Tedeschi, Ungheresi e Italiani invadono la Jugoslavia, occupandola completamente in poche settimane. All'Italia spettano: l'intera costa dalmata, parte del Montenegro, quasi l'intera Slovenia e la Croazia, sotto forma di protettorato.
La Slovenia viene annessa, e diventa la provincia di Lubiana. La Croazia diventa un regno "indipendente", con
primo ministro Ante Pavelic, un fascista feroce e sanguinario, amico di vecchia data di Mussolini, e come Re un cugino di Vittorio Emanuele III, Aimone di Aosta. Il partito fascista e razzista croato, gli Ustascia, formato da fanatici religiosi (cattolici) e nazionalisti, appoggiati dal vescovo di Zagabria e primate di Croazia Stepinac, intraprendono fin da subito una opera di pulizia etnica nei confronti di Serbi e altre minoranze, spesso spalleggiati dalle truppe italiane.
L'intera Jugoslavia diventa territorio di stragi e di crudeltà. Alla fine della guerra, sarà uno dei paesi che avrà pagato il più alto tributo di morti, da calcolarsi in circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti (si pensi che i caduti italiani tra civili e militari, fra battaglie e bombardamenti, repressioni e fucilazioni, non supera le 300 mila unità su 45 milioni di abitanti).
In particolare, sono da attribuirsi alla responsabilità diretta delle truppe di occupazione italiana almeno 250 mila morti, che le fonti serbe però portano ad un totale di 300 mila. Di questi, i morti in combattimento sono una parte esigua, perché la stragrande maggioranza delle vittime fu dovuta a vere e proprie stragi e repressioni, a saccheggi e a brutalità. In particolare, è da ricordare il ruolo della II Armata Italiana, sotto il comando del generale Roatta.
La situazione è differenziata nei diversi territori: le peggiori e più
inumane condizioni si verificarono nella Jugoslavia meridionale, dove si aprì una vera e propria caccia al serbo. Vere e proprie spedizioni italo-croate partivano alla volta dei villaggi e delle cittadine serbe, dove, in un'orgia di violenze di ogni tipo, centinaia di uomini, donne e
bambini venivano torturati e uccisi. I villaggi jugoslavi distrutti dagli italiani sono non meno di 250, ai quali vanno aggiunti quelli distrutti in collaborazione con i tedeschi o con altre milizie dell'Asse. 

250 Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema in cui i colpevoli, i macellai, eravamo noi. Gli episodi di efferatezza e di crudeltà non si contano, e le mutilazioni, gli stupri, gli accecamenti erano all'ordine del giorno. Il comandante partigiano cattolico Edvard Kocbek così descriveva un'offensiva sferrata dall'esercito italiano nell'agosto del 1942: "I villaggi bruciano, i campi di grano e i frutteti sono stati devastati dal nemico, le donne e i bambini strillano, quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per le armi, centinaia di persone vengono trascinate nei campi di prigionia, i bovini muggiscono e vanno vagando per i boschi. 

La cosa più sconvolgente è che questi orrori non vengono perpetrati da un'accozzaglia di primitivi come al tempo delle invasioni turche, ma dai gioviali soldati del civile esercito italiano, comandati da freddi ufficiali che impugnano fruste per cani... ". Spesso i partigiani slavi, o gli indifesi abitanti delle campagne, erano bruciati vivi (su roghi di fascine, o chiusi nelle chiese ortodosse, che furono distrutte - in questo modo- in gran numero). Le deportazioni della "inferiore razza serba" furono massicce, e decine di migliaia di ex soldati o di cittadini serbi fu avviata ai campi di sterminio tedeschi o a quello della Risiera di San Sabba, a Trieste, assieme con ebrei ed altre minoranze.
In Croazia, nel "regno indipendente", l'opera delle truppe italiane fu di supporto e affiancamento alle milizie ustascia, mentre nelle coste e isole annesse, la repressione della II armata fu assai più pianificata e scientifica. Stessa cosa in Slovenia, che, entrata a far parte del territorio nazionale, doveva essere completamente assimilata.
Gli occupanti italiani costruirono campi di concentramento che, seppur non scientificamente predisposti allo sterminio, furono la causa di migliaia di morti e di infinite sofferenze. Tutti conosciamo Auschwitz e Buchenwald, ma decenni di censure ci hanno impedito di sapere che noi, italiani, costruimmo e gestimmo i leger di Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab (isola di Arbe). Furono creati campi anche in Italia, per esempio a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso), a Renicci di Anghiari (Arezzo) e a Padova. 

Secondo stime rapportate nel volume dell'A.N.P.P.I.A. Pericolosi nelle contingenze belliche, i fascisti internarono quasi 30.000 sloveni e croati, uomini, donne e bambini. In Slovenia, già dall'ottobre del 1941, il tribunale speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. 

Con l'intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città, rastrellamenti... prende corpo il progetto di deportazione di massa, con il trasferimento forzato degli abitanti di Lubiana, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 . In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta, addirittura, la deportazione della intera popolazione slovena.


12 gennaio 2009 

Sezze da Far West, ma lo sceriffo dov'è?

di Vittorio Del Duca

Domenica 11 Gennaio 2009 Ore 16,30 – Un cittadino, assieme  alla moglie, si reca a prendere la macchina nel proprio garage e trova il passo carrabile, quello per cui paga la tassa al Comune, occupato da un’auto che non conosce. Anche la mattina, per uscire,  aveva  perduto un bel po di tempo a causa di una grossa Daewoo che gli ostruiva il passaggio.

Chiede nei paraggi ma quella macchina sembra proprio sconosciuta. Si tenta di attirare l’attenzione  con il suono del clacson, che il garage amplifica come  una grossa  cassa armonica. Niente!!

Tanta gente si affaccia alle finestre, sezzesi e rumeni, ma nessuno sa nulla. La signora si reca persino a chiedere all’interno della vicina Cattedrale e nella sacrestia. Ancora niente!

 Eppure il passo carrabile è ben evidenziato con strisce gialle sull’asfalto e con segnaletica ai lati della serranda. Perché tanta inciviltà? Perché per i propri comodi si deve ledere il diritto e la libertà altrui?

Ore 16,51-  Esperiti tutti i tentativi, il nostro concittadino tenta al numero 0773 88411 corrispondente a quello del Comando di Polizia Municipale. Una deviazione di chiamata lo porta al cellulare 349 29 31 485  che si presume essere in uso al vigile di turno. Solo che sembra spento perché “ Risponde la segreteria telefonica del numero 3492931485, si prega di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico..”

 Il messaggio viene lasciato ma invano si attende l’arrivo dei vigili. Non che ci si contasse più di tanto!

Ore 17 – Altro tentativo con il clacson. Stavolta un rumeno si affaccia da una delle finestre di fronte e dice di essere il proprietario dell’auto. Scende per spostare la macchina ma il nostro concittadino comprensibilmente irritato perché spazientito dalla lunga attesa , trova incredibile che quell’individuo fosse proprio lì davanti e non si fosse accorto di tanto baccano.

Cerca di spiegare al neocomunitario quello che sarebbe ovvio, ovvero che non  avrebbe dovuto parcheggiare ostruendo un passo carrabile autorizzato.

Il rumeno, forse in stato di ebbrezza, perché puzzolente di alcool, si avvicina troppo minaccioso al nostro concittadino che gli chiede invano di tenersi a riguardosa distanza. Sta per scoppiare una rissa che viene evitata solo dal buonsenso e dall’intromissione della signora e di un altro rumeno che faceva da spartiacque, pur parteggiando apertamente  e pericolosamente per il suo connazionale.

Ore 17,05 -  La macchina viene finalmente spostata, il nostro cittadino mette in moto, sta per uscire dal garage, intuisce che qualcosa nel frattempo era successo, ma non sa bene. Pensando al peggio ricompone con il cellulare il numero dei Vigili perché il tutto venisse registrato come messaggio nella segreteria telefonica, ma i due rumeni  tornano a casa borbottando minacciosi,  la moglie sale in macchina e seppure stravolta cerca di rassicurare il  marito che nient’altro era successo. La coppia può  allontanarsi ma il nostro concittadino non è convinto e cinge di assedio la moglie fino a farsi riferire l’accaduto “Ha detto che se non c’era tutta quella gente  ci avrebbe uccisi tutti e due”.

Non restava  altro che recarsi alla caserma dei Carabinieri per denunciare l’accaduto, soprattutto per eventuali future ritorsioni.

In caserma c’era un solo carabiniere di turno e raccoglie solo una nota perché per la denuncia occorrono le generalità e non la targa dell’auto. Il rumeno era ancora lì, dove era stato lasciato dai nostri,  ma non c’erano forze dell’ordine per andare ad accertarne le generalità. Forse il 118….forse….

Dov’erano i Vigili Domenica sera 11 Gennaio2009?  

Il Comando era chiuso,  in paese non c’erano, allo  Scalo nemmeno.  E’ possibile che di Domenica  e  tutte le notti la Polizia Municipale non abbia turni e che la città  sia in balìa della delinquenza?

I nostri amministratori comunali  ed i nostri dirigenti  che paghiamo profumatamente, cosa fanno invece di garantire la sicurezza dei cittadini? Dormono?

I recenti fatti di cronaca insegnano: qui a Sezze la gente ha a paura di uscire soprattutto di sera, finanche per andare a prendere o rimettere la macchina in garage.


7 gennaio 2009 

Forse sarebbe il caso di riconsiderare certi aspetti che determinano la vivibilità a Sezze

Dopo aver letto questo articolo fate la prova digitando SEZZE sul sito http://www.walkscore.com/

Il risultato è sorprendente. Il centro più importante dei monti Lepini, posto tra la pianura Pontina e il monte Semprevisa, ha un pessimo risultato della fruibilità degli spazi pedonali, 15 punti su 100!

Sul web si calcola la "camminabilità"

24 novembre 2008 - Sole 24ORE, articolo di Francesca Milano

Comprare casa in una zona e poi scoprire che muoversi a piedi nei dintorni è quasi impossibile. Per scongiurare questo rischio la società americana Front Seat ha ideato WalkScore.com, un sito internet capace di calcolare il livello di "camminabilità" di ogni punto del mondo, ovvero la possibilità per i residenti in un determinato quartiere di sbrigare gli impegni quotidiani (scuola, lavoro, supermercato, palestra, ristorante, spazi pubblici) muovendosi a piedi.
Si tratta di un sistema basato sulle mappe di Google, attraverso le quali è possibile verificare l'offerta di infrastrutture pubbliche e private situate in una zona o in una città.
A ogni luogo inserito nella casella di ricerca il sistema – basato su un complicato algoritmo che la società sta brevettando – assegna un punteggio in centesimi: da 100 a 90 punti ci si trova in un «paradiso della passeggiata», tra 89 e 70 in un'area molto adatta per muoversi a piedi, tra 69 e 50 in una zona abbastanza camminabile, tra 49 e 25 in un'area per "auto-dipendenti" e così via, fino al punteggio più basso assegnato al quartiere dove si può camminare a piedi solo fino al parcheggio della propria vettura. 
Il sito assegna punti in base alla distanza dalle più vicine strutture e infrastrutture. Nel caso in cui il servizio più vicino si trovi a non più di 400 metri, il sistema assegna il massimo dei punti. Il sistema è molto preciso quando si inserisce un indirizzo, mentre nel caso si voglia calcolare il grado di camminabilità di un'intera città bisogna mettere in conto che il risultato sarà più approssimativo. 
Qualche esempio? Milano raggiunge complessivamente 62 punti. Ma c'è molta differenza tra i 63 punti della zona di Brera e i 35 di Città studi. Roma, invece, ottiene complessivamente 53 punti, ma lungo la Tiburtina il livello scende a 31. Napoli arriva a 57 punti, Venezia a 60, Palermo a 69, Bologna a 71, Firenze a 78.
Tramite WalkScore si possono individuare i 138 "paradisi per camminatori" situati negli Stati Uniti: ai primi tre posti si piazzano tre quartieri di New York (Soho, Tribeca e Little Italy), tutti con 100 punti. 
Il sito è online dal luglio 2007 e in America sta riscuotendo un inaspettato successo, soprattutto tra chi deve comprare casa. Si tratta ancora di un sistema "work in progress", che migliora giorno dopo giorno (anche grazie ai sempre più precisi data base di Google Maps) e che è anche aperto al "dibattito": ultimamente ha lanciato un nuovo servizio attraverso cui i navigatori del web possono lasciare i propri consigli al neo-presidente Barack Obama sulla politica da adottare per rendere più vivibili le città.

SEZZESE - anno 2009 - 2010