12
dicembre 2008
A
piedi per le vie del centro… e dintorni
di
Ignazio Romano
Nonostante
il degrado in cui versa il nostro centro storico, è un piacere
percorrere a piedi le sue vie, i suoi vicoli, le sue piazze e gli angoli
tipici ancora carichi di fascino e di storia millenaria. In questi
giorni tutto è favorito dall’atmosfera natalizia, con la pioggia e la
nebbia che giocano con gli addobbi luminosi che pure nascondono i
problemi più grossi.
Se
solo si riuscisse ad evitare quei “trattori”
(ex utilitarie) che con la loro mole sgraziata invadono l’abitato,
magari sanzionandone con multe puntuali l’arroganza dei loro
guidatori, noncuranti della presenza dei pedoni. E se si limitasse l’accesso
dei veicoli allo stretto indispensabile, concordando sapientemente con i
cittadini l’utilizzo degli spazi pubblici in modo più coerente e
rispettoso per tutti, magari segnalando in tutta l’area la precedenza
dei pedoni, o limitando l’accesso ai veicoli troppo ingombranti fino
ad arrivare alla chiusura degli spazi più angusti del centro.
Ovviamente vigilando e facendo rispettare con rigore le norme.
Sarebbe un paese migliore, più civile ed
anche più accattivante per i visitatori, che troverebbero interessante
Sezze, non solo in occasione del Venerdì Santo e della Sagra del
Carciofo, ma tutto l’anno.
Eppure
in questi giorni la polemica che circola è quella sulle luminarie. Manco
a dillo. In particolare la frazione di Sezze Scalo si sente messa da
parte per lo scarso impegno dimostrato dell’Amministrazione Comunale
verso il quartiere. Sinceramente non credo che i problemi dello Scalo
sono le illuminazioni natalizie: la viabilità ed i servizi,
come quello idrico oppure l’Adsl, sono i nodi da
affrontare. Per la viabilità è prossima l’inaugurazione della
rotatoria sulla SS 156, che farà fare un grosso balzo in avanti
alla qualità della vita allo Scalo, mentre l’Adsl ha bisogno solo
dell’ultima spintarella. È vero che si sono attesi anni e che è
giusto manifestare il proprio dissenso, ma il mio parere è che le
luminarie vanno bene lì dove sono state messe, mentre, se i problemi
dello Scalo stanno per vedere importanti soluzioni, la stessa cosa non
si può dire per il centro storico del paese, che ad oggi presenta gravissimi
problemi di vivibilità con soluzioni ancora lontane da venire.
Art.
1 L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro
6
dicembre
2008

A Torino la giornata del ricordo
delle sette vittime del rogo.
Corteo con
cinque mila persone. Alla messa assente anche
Confindustria.
Applausi e rabbia al corteo.
Cerimonie senza esponenti del governo.
6
novembre 2008
Piero
Calamandrei - Roma 11 febbraio 1950
Cari colleghi,
Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari
alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si
intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse
la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è
il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire
subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed
è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui,
c'è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve
immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire,
poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in
Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola
laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre.
Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella
Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in
funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché
questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha
la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di
organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete
letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione,
quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono
descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del
popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in
diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi.
Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi
costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere,
la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la
Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi
anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia
come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo
costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola
corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione
di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere
quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la
formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente,
non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede
in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli
organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso
culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle
aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti.
Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe,
la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia,
una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia,
la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso
verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le
categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di
liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi
possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita
che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo
lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società
[...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di
avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può
farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del
suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto
senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola
può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino
da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione,
sia pure con una formula meno immaginosa. E' l'art. 34, in cui è detto:
"La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se
privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli
studi". Questo è l'articolo più importante della nostra
Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di
questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del
matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae:
la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana
della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale
della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è costruito
questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di
tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di
tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna
parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella
privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che
quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di
tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione
che dice così: "La Repubblica detta le norme generali
sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e
gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia
scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre
la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi,
immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto
lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti
vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli
ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti
dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti
coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La
scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime
per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione.
La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un
carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né
cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di
un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i
cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione
politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151:
"Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle
cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti
stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere
strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di
questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni
[...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora
soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora
soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che
forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di
gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo
Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi
la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro
articolo della Costituzione, nell'articolo 30, di istruire e di educare
i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle
famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e
quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano
con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose,
culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la
scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza
civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler
dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire
che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre
parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di
una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi,
perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un
pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia
neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole
private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a
certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in
questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere
il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola
privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si
stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo
che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente
possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche
non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia
permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole.
Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di
abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve
sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve
riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere
una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della
scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella
scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di
partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo
aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti
qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo
abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole
di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un
partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo
sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a
trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il
totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide
che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo
l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un
partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la
Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia
su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol
istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare
per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in
scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di
essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è
sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito
dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica,
intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad
impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole
private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel
partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole
private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a
consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono
migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come
ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che
saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole
pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli
esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la
scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante,
non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di
partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle
sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna
discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i
cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve
l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in
malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2)
Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non
controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non
hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano
burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il
punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il
metodo più pericoloso. » la fase più pericolosa di tutta l'operazione
[...]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del
metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i
credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi
partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola
religione, di una sola setta, di un solo partito [...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la
Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa
questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire
scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come
sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule
nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni
sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori,
che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi
giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che
i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente
si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla
[...]. E venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno
familiare scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti
Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare"
al massimo le spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna
escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però
aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola
privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha
già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa
che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre
deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che
vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo
doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo
figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un
sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice
la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? Un diritto che uno,
se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole
mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla
scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si
potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia
ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare
decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa
caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai
venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici
l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo
scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni
familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a
disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire
certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private
dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa
religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli
elettori di un certo partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della
Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La
legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che
chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un
trattamento equipollente a quello delle scuole statali" [...].
Parità, si, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di
concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare
i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e
ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il
compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa
parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la
serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la
serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema,
questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza
al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola
privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa
concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e
proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di
moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi,
stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante
altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore.
Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con
il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il fucile
spianato. La scuola privata che si vuole trasformare in scuola
privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre
astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola
privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola
privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola
totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di
partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. E' il pericolo del
disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo,
più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente
tra i giovani, è molto significativo. E' il tramonto di quelle idee
della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la
serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee
semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola
sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di
persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è
superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni,
tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé
una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria
della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i
propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola.
Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa
c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e
l'italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che
soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza
fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti,
cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto
svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non
bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente
che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché
quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle
nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però
guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è
accaduto. E' accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che
hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per
lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E
tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri
studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il
sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che
uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo
dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare
a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza
morale.
[Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una
nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]
Saviano:
"Ogni voce che resiste mi rende meno solo"
22
ottobre
2008
di ROBERTO SAVIANO
GRAZIE
per tutto quanto state facendo. È difficile dimostrare
quanto sia importante per me quello che è successo in questi giorni.
Quanto mi abbia colpito e rincuorato, commosso e sbalordito sino a
lasciarmi quasi senza parole. Non avrei mai immaginato che potesse
accadere niente di simile, mai mi sarei sognato una tale reazione a
catena di affetto e solidarietà.
Grazie al Presidente della
Repubblica, che, come già in passato, mi ha espresso una vicinanza in
cui non ho sentito solo l'appoggio della più alta carica di questo
paese, ma la sincera partecipazione di un uomo che viene dalla mia
terra.
Grazie al presidente del Consiglio e a quei ministri che hanno voluto
dimostrarmi la loro solidarietà sottolineando che la mia lotta non dev'essere
vista disgiunta dall'operato delle forze che rappresentano lo Stato e
anche dall'impegno di tutti coloro che hanno il coraggio di non piegarsi
al predominio della criminalità organizzata. Grazie allo sforzo
intensificato nel territorio del clan dei Casalesi, con la speranza che
si vada avanti sino a quando i due latitanti Michele Zagaria e Antonio
Iovine - i boss-manager che investono a Roma come a Parma e Milano -
possano essere finalmente arrestati.
Grazie all'opposizione e ai ministri ombra che hanno appoggiato il mio
impegno e quanto il governo ha fatto per la mia sicurezza. Scorgendo
nella mia lotta una lotta al di là di ogni parte.
Le letture delle mie parole che sono
state fatte in questi giorni nelle piazze mi hanno fatto un piacere
immenso. Come avrei voluto essere lì, in ogni piazza, ad ascoltare. A
vedere ogni viso. A ringraziare ogni persona, a dirgli quanto era
importante per me il suo gesto.
Perché ora quelle parole non sono più le mie parole. Hanno smesso di
avere un autore, sono divenute la voce di tutti. Un grande, infinito
coro che risuona da ogni parte d'Italia. Un libro che ha smesso di
essere fatto di carta e di simboli stampati nero su bianco ed è
divenuto voce e carne. Grazie a chi ha sentito che il mio dolore era il
suo dolore e ha provato a immaginare i morsi della solitudine.
Grazie a tutti coloro che hanno
ricordato le persone che vivono nella mia stessa condizione rendendole
così un po' meno sole, un po' meno invisibili e dimenticate.
Grazie a tutti coloro che mi hanno difeso dalle accuse di aver offeso e
diffamato la mia terra e a tutti coloro che mi hanno offerto una casa
non facendomi sentire come uno che si è messo nei guai da solo e ora è
giusto che si arrangi.
Grazie a chi mi ha difeso
dall'accusa di essere un fenomeno mediatico, mostrando che i media
possono essere utilizzati come strumento per mutare la consapevolezza
delle persone e non solo per intrattenere telespettatori.
Grazie alle trasmissioni televisive
che hanno dato spazio alla mia vicenda, che hanno fatto luce su quel che
accade, grazie ai telegiornali che hanno seguito momento per momento
mutando spesso la scaletta solita dando attenzione a storie prima
ignorate.
Grazie alle radio che hanno aperto i loro microfoni a dibattiti e
commenti, grazie specialmente a Fahrenheit (Radio 3) che ha organizzato
una maratona di letture di Gomorra in cui si sono alternati personaggi
della cultura, dell'informazione, dello spettacolo e della società
civile. Voci che si suturano ad altre voci.
Grazie a chi, in questi giorni, dai quotidiani, alle agenzie stampa,
alle testate online, ai blog, ha diffuso notizie e dato spazio a
riflessioni e approfondimenti.
Da questo Sud spesso dimenticato si può vedere meglio che altrove
quanto i media possano avere talora un ruolo davvero determinante.
Grazie per aver permesso, nonostante il solito cinismo degli scettici,
che si formasse una nuova sensibilità verso tematiche per troppo tempo
relegate ai margini. Perché raccontare significa resistere e resistere
significa preparare le condizioni per un cambiamento.
Grazie ai social network Facebook e Myspace, da cui ho ricevuto migliaia
di messaggi e gesti di vicinanza, che hanno creato una comunity dove la
virtualità era il preludio più immediato per le iniziative poi
organizzate in piazza da persone in carne e ossa.
Grazie ai professori delle scuole che hanno parlato con i ragazzi,
grazie a tutti coloro che hanno fatto leggere e commentare brani del mio
libro in classe. Grazie alle scuole che hanno sentito queste storie le
loro storie.
Grazie a tutte le città che mi
hanno offerto la cittadinanza onoraria, a queste chiedo di avere
altrettanta attenzione a chi concedono gli appalti e a non considerare
estranei i loro imprenditori e i loro affari dagli intrecci della
criminalità organizzata.
E grazie al mio quotidiano e ai premi Nobel e ai colleghi scrittori di
tante nazionalità che hanno scritto e firmato un appello in mio
appoggio, scorgendo nella vicenda che mi ha riguardato qualcosa che
travalica le problematiche di questo paese e facendomi sentire a pieno
titolo un cittadino del mondo.
Eppure Cesare Pavese scrive che
"un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un
paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante,
nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad
aspettarti".
Io spesso in questi anni ho pensato che la cosa più dura era che
nessuno fosse lì ad aspettarmi. Ora so, grazie alle firme di migliaia
di cittadini, che non è più così, che qualcosa di mio è diventato
qualcosa di nostro. E che paese non è più - dopo questa esperienza -
un'entità geografica, ma che il mio paese è quell'insieme di donne e
uomini che hanno deciso di resistere, di mutare e di partecipare,
ciascuno facendo bene le cose che sa fare.
Grazie.
Un
paese vuol dire non essere soli
4
luglio 2007
di Franco Abbenda
“Un
paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante,
nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad
aspettarti”.
Cesare Pavese (La luna
e i falò).
il
2 luglio
Durante
gli anni in cui ho abitato lontano da Sezze, questi versi di Pavese mi
hanno sempre aiutato a sentirmi ancora sezzese, ed a non intaccare in
alcun modo quel legame speciale che ognuno di noi ha con il luogo in cui
è nato.
In
questo periodo di migrazioni continue e di precarietà residenziale,
oltre che di individualismo esasperato, il valore di sentirsi
positivamente e radicalmente incastonato in una ben precisa realtà
geografica potrebbe essere percepito come disvalore, come qualcosa di
demodèe e senza alcuna prospettiva futura.
Vivere
nello stesso paese è invece, e comunque, una ricchezza per tutti; sia
quelli che ci sono nati, sia coloro che vi hanno trovato momentanea
residenza.
Non
basta questo però per sentirci veramente…una comunità.
C’è
bisogno di qualcosa di più, un valore aggiunto, per unire di fatto
tante e diverse realtà individuali.
A
mio parere, oltre al dialetto ed alle tradizioni
folkloristico-gastronomiche, quel che unisce veramente le persone di una
comunità è la condivisione della memoria storica e la prospettiva di
continuare ad essere unita.
Ogni
anno ci sono varie ricorrenze che ci riportano a giornate speciali del
nostro passato, quelle tipicamente sezzesi: la Sacra Rappresentazione
del Venerdì Santo e la Sagra del Carciofo sono da anni
imprescindibilmente legate alla storia del nostro paese.
Ma
sono altre le date che, secondo me, rappresentano il valore aggiunto di
Sezze.
Una
di queste è il 28 maggio.
Non
può dirsi sezzese chi non conosce empaticamente Luigi Di Rosa.
Appartenere
ad una comunità è fondamentalmente sentirsi parte di un tutto,
soprattutto con quanti, familiari ed abitanti dell’epoca, hanno
sofferto per un’aggressione come quella che ebbe luogo a Sezze il 28
maggio 1976.
L’altra
data è il 2 luglio.
In
questa data, al di là dei propri convincimenti religiosi, i Santi
Patroni Lidano e Carlo rappresentano il segno tangibile di una comunità
che continua a sentirsi viva. Anche per chi vive il 2 luglio con
sensibilità extra-religiosa, i “Due
sezzesi” (uno acquisito, l’altro di nascita) sono, e possono
continuare ad essere simbolicamente la “bandiera laica” del paese.
Non
per niente a Sezze il 2 Luglio è un giorno festivo.
Festa
lo è non solo per quelli che, più devotamente, considerando i due
Santi il proprio tramite privilegiato verso il Dio cattolico, seguono
anche le celebrazioni liturgiche.
E’
festa per tutto il paese.
Dovrebbe
esser festa per tutta Sezze.
Da
qualche anno invece, mancano, a mio avviso, i segni tipici e tangibili
di una vera festa, quella fatta di persone, suoni, colori e sapori
inconfondibili, quella che dovrebbe riuscire a coinvolgere veramente
tutto il paese.
Il
2 luglio potrebbe essere l’occasione per far prevalere l’idea di
unità e di valore sociale condiviso; il giorno ideale per invogliarci
tutti a mettere da parte le diversità individuali, le differenti
colorazioni politiche, le storiche conflittualità sociali oltre agli
antipatici e mai sopiti personalismi.
Sarebbe
bello che l’anno prossimo, in occasione dei festeggiamenti dei SS.
Patroni, si deponessero finalmente “le armi” - come avveniva
nell’antica Grecia durante i giochi Olimpici – e tutta la comunità
si ritrovasse unita in una sola festa, della durata di più giorni, in
cui, oltre allo spazio per la doverosa memoria religiosa, ci fosse lo
spunto per mettere insieme il meglio delle risorse della comunità.
La
sfida sarebbe quella di provare a regalare ai cittadini qualche giornata
serena all’insegna del divertimento e dello spettacolo, per rifondare,
visto che ce n’è tanto bisogno, la nostra più sana appartenenza al
paese.
Ognuno
sarebbe libero di partecipare attivamente e di assistere o no agli
eventi.
Ma
in quei giorni la festa del paese dovrebbe essere una, solo una, seppur
diversificata in più eventi.
Non
ci dovrebbe essere spazio per fughe individuali.
Ci
sarebbe bisogno che tutti noi rinunciassimo al nostro orticello privato,
solo per un giorno, per fare spazio a tanti altri sezzesi e partecipare
tutti, nuovi e vecchi nel nome del paese che ci unisce, alla sfida di
condividere almeno qualche giornata di festa vera.
Potrebbe
essere un modo originale per re-interpretare il “Setia plena bonis…”
La
frana in località Vallicella
24 novembre 2006
di Claudio Angelini
Il
15/4/2004 a Sezze, in località Vallicella, si verifica una frana che ha
coinvolto parte dell’area attigua, anch’essa di nostra proprietà, allo
stabile in cui viviamo, limitando la piena utilizzazione dello stesso.
Dopo una nostra nota inviatavi
il 17/4/2005, riteniamo possano esservi utili notizie in merito a ulteriori
recenti svolgimenti di una vicenda che, oltre alle implicazioni private, ha
degli evidenti risvolti pubblici, sia per il ruolo che l’ente comunale vi
ha (essendo proprietario dell’area dove sorge il cantiere i lavori
all’interno del quale sono stati ritenuti causa della frana stessa), sia
per i disguidi che essa provoca al paese.
A
circa due anni e mezzo dalla frana verifìcatasi in Sezze (LT) Via Marconi
loc. Vallicella, nel corso di lavori edili da parte della C.B.C. 98 srl di
Luigi Bucciarelli su terreno di proprietà del Comune di Sezze, qualcosa è
cambiato all’interno del cantiere, ma non nelle aree adiacenti danneggiate
dalla vicenda.
Si ricorderà che la
proprietà con annessa area pertinenziale della famiglia Angelini,
finitima con il cantiere e l'area ove esso sorge, è stata seriamente
danneggiata dall’evento franoso del 15/4/2004, nonché del tutto
limitata nell'accesso ai garage ed all’entrata posteriore della casa; fu
subito chiaro che era, ed è, indispensabile eseguire lavori di
consolidamento in loco per evitare conseguenze ancora più gravi.
Quanto affermato risulta dai
fonogrammi dei VV.FF. di Latina che sin dal primo giorno hanno stabilito il
seguente concatenamento: lavori nel cantiere - evento franoso - danni alla
proprietà Angelini e dichiarata la necessità di intervenire per
consolidare i luoghi interessati dalla frana con sgombro dell'immobile
Angelini per tutta la durata dei lavori.
Parallelamente, gli Angelini
hanno adito le competenti sedi giudiziarie, penali e civili, onde ottenere
la messa in sicurezza della loro abitazione ed un adeguato risarcimento dei
danni materiali e fisici subiti.
Dopo vari passaggi,
nell’ottobre 2004 gli Angelini hanno ottenuto in sede cautelare
un'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi con demolizione o
rimozione delle opere da parte della C.B.C. 98 srl. In seguito al reclamo
presentato dalla società avverso la suddetta ordinanza, nell’aprile del
2005 il tribunale di Latina, in composizione collegiale, ha ribadito quanto
disposto con precedentemente, ed anzi, ha tenuto a precisare il nesso
eziologico tra i danni causati agli Angelini ed i lavori nel cantiere, causa
esclusiva della frana, nonché la presenza di un pericolo attualissimo per
cose e persone e la necessità di intervenire con assoluta urgenza,
rafforzando così ulteriormente le ragioni degli Angelini.
La C.B.C 98 srl, tenuta ad
eseguire i lavori come da consulenza tecnica d’ufficio, non ha a
tutt’oggi adempiuto completamente in tal senso. Nonostante questo, attorno
alla metà dell’ottobre scorso, sono ripresi i lavori all’interno del
cantiere. Cantiere che, si ribadisce, sorge su un terreno di proprietà
comunale.
Gli
Angelini hanno più volte chiesto, in questi anni, l’intervento
dell’ente comunale, sia come ente di tutela del cittadino che come
proprietario dell’area, e per quanto di sua competenza. Ad oggi, tuttavia,
sono ancora in attesa di ulteriori importanti chiarimenti, normalmente
dovuti, da parte dell’ente e della ditta. Ad esempio, il comune non ha
ancora dato risposte esaurienti in merito alla ripresa dei lavori, allo
svolgimento ed al completamento degli stessi e se tali lavori hanno subito o
subiranno eventuali modifiche in corso di esecuzione. Ciò nonostante la
portata dell’opera e gli interessi pubblici e privati che tocca e ha già
toccato.
Oltre
alla situazione di disagio arrecata agli Angelini, fanno da cornice alla
vicenda:
-
alcune irregolarità amministrative (per
esempio, sollecitato a fornire specifica documentazione che comprovasse la
regolarità amministrativa e tecnica della convenzione che ha portato la
società di cui sopra alla realizzazione del parcheggio con il benestare del
comune medesimo, il Responsabile dell'Ufficio tecnico comunale si è trovato
costretto ad affermare per iscritto che una parte fondamentale della
documentazione richiesta, tra cui il verbale di consegna delle aree alla
C.B.C. srl 98, non esiste).
-
La chiusura, da circa tre anni, del parcheggio pubblico in località
Vallicella, che conta almeno 30 posti macchina. Inoltre, ciò aumenta il
disagio dovuto agli interminabili lavori intorno al vicino Parco della
Rimembranza, i quali rendono inutilizzabili molti altri posti macchina. Per
altro in prossimità delle due principali sedi scolastiche del paese.
Nell’aprile del 2005 –un
anno e mezzo fa!- la nostra nota si chiudeva così: “Dopo quasi un anno di
indifferenza, finalmente qualcosa di importante è arrivato. Non resta che
augurarci che i responsabili adempiano al più presto a quanto il Tribunale
di Latina ha disposto con un provvedimento che non lascia spazio ad
ulteriori pretesti.” Adesso, più realisticamente, rendiamo pubblico che
l’indifferenza da parte dei principali attori di questa vicenda continua,
così come che (anche se lo spazio per i pretesti le carte giudiziarie non
lo lasciano) continuiamo, dal 15/4/2004, a non poter utilizzare i garage,
l’area antistante e l’entrata posteriore della casa. Insomma, per noi
non è cambiato quasi niente. All’interno del cantiere, invece, si lavora
anche il sabato e finché fa buio.