contro la pena di morte

una produzione di Acqua Alta -Officina della Cultura

L'ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE

  di Victor Hugo

con Elisabetta Femiano, Agnese D'apuzzo e Fabio Morosillo

regia di Danilo Prola

scene Antonio D'Onofrio

musiche Fabio Morosillo

costumi Grazia Bonetti

Sezze, 23 febbraio 2008  -  ore 21,00 Auditorium Mario Costa  -  ingresso libero

con il patrocinio di

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Victor Hugo nacque il 26 febbraio 1802 a Besançon. Suo padre, Leopold- Sigisberg Hugo, generale dell'esercito napoleonico, seguì in Italia e in Spagna Giuseppe Bonaparte, e i figli e la moglie, Sofia Trebuchet, gli furono accanto nei suoi spostamenti. La Restaurazione pose fine a questo vagabondare.

Dal 1815 al 1818, Victor visse a Parigi nel convitto Cordier dove il padre avrebbe voluto preparasse gli esami per essere ammesso all'Ecole Polytechnique. Egli uscì invece dall'Istituto ben convinto di dedicarsi alla letteratura e nel 1819 fondò con il fratello Abel "Le Conservateur Littéraire". Nel 1822 i suoi primi scritti di intonazione monarchica e cattolica "Odes et poesies diverses", gli fruttarono dal re Luigi Diciottesimo una pensione di 1000 franchi che fu accresciuta nel 1823 per la pubblicazione di "Han d'Island". Lo stesso anno sposò Adele Foucher. Da questo matrimonio nacquero cinque figli.

Sono di questi anni i suoi primi contatti con i circoli romantici parigini, primo fra tutti quello di Jacques Nodier alla Biblioteca dell'Arsenal, è del 1827 il "Cromwell", il dramma la cui prefazione è considerata giustamente il manifesto delle nuove teorie romantiche.

Delle tre unità aristoteliche egli mantiene la sola unità di azione che considera unica condizione necessaria per un'opera drammatica, proclama la necessità di riportare l'arte alla verità, parla di imitazione della natura, di introduzione della storia nel dramma, di verso espressivo, vario, pieghevole.

Nel 1830, poiché il "Cromwell" era un dramma di troppo vasta mole per essere rappresentato, sulla base delle teorie esposte, portò sulle scene l'"Hernani". Fu la battaglia decisiva e Victor Hugo fu riconosciuto capo della nuova scuola romantica. Gli scritti si susseguirono allora numerosi: opere drammatiche ("Marion Delorme" 1831; "Le Roi s'amuse" 1832; "Lucrece Borgia", "Maria Tudor", "Ruy Blas", 1838; un romanzo ("Nôtre Dame de Paris"), 4 volumi di versi ("Les feuilles d'automne" 1831; "Le chats du Crepuscule" 1835; "Les Voix Interieures" 1837; "Les Rayon et les ombres" 1840), e nel 1841 divenne membro dell'Accademia Francese.

Due avvenimenti interruppero nel 1843 per un decennio la sua attività letteraria: la morte di sua figlia Léopoldine e l'insuccesso del dramma "Les Burgraves", che determinò la sua rinuncia al teatro.

Nel 1845 venne nominato da Luigi Filippo Pari di Francia, nel 1848 deputato all'Assemblea Costituente, dove fu uno dei più fieri avversari del presidente Luigi Bonaparte. Ma il colpo di stato del 1851 segnò per lui l'inizio dell'esilio, di quell'esilio che doveva durare fino al 4 settembre 1870. Furono letterariamente anni molto fecondi: nel 1853 pubblicò "Les chatiments", aspra satira contro Napoleone, nel 1856 "Les contemplations", nel 1859 la prima serie della "Légende des Siecles" (il seguito uscirà nel 1877 e nel 1883), nel 1862 "I Miserabili".

Rientrò a Parigi dopo il crollo del Secondo Impero, entrò nel Senato nel 1876 e morì il 22 maggio 1884. Le sue esequie furono un'apoteosi; la sua salma fu lasciata per una notte sotto l'Arco di Trionfo dei Campi Elisi e vegliata da dodici poeti.

Citazioni tratte da "L'ultimo giorno di un condannato e altri scritti sulla pena di morte", 1956, Milano, Rizzoli Editore.

"Gli uomini che giudicano e che condannano proclamano la pena di morte necessaria, prima di tutto: perché è importante scindere dalla comunità sociale un membro che le ha già nociuto e che potrebbe nuocere ancora. Si trattasse solo di questo, il carcere a vita basterebbe. Perché la morte? Voi mi obiettate che da una prigione si può scappare? Fate meglio la guardia...niente carnefici dove bastano carcerieri." p.46 
"Ma mi si risponde, la società deve vendicarsi, la società deve punire. Né una cosa né l'altra: vendicare è un atto dell'uomo, punire appartiene a Dio." p. 46

"Resta la terza e ultima ragione, la teoria dell'esempio. Bisogna dare esempi...allora ridateci il XVI secolo, siate veramente formidabili: ridatecì la varietà dei supplizi, ridateci i tormentatori giurati, ridateci la forca, la ruota, il rogo, i tratti di corda, il taglio delle orecchie, lo squartamento...ecco l'esempio in grande; ecco la pena di morte ben intesa; ecco un sistema di supplizi che ha una certa proprozione...ma dite un po', siete davvero seriamente convinti di dare un esempio quando scannucchiate miserabilmente un povero diavolo nel punto più deserto dei boulevards esterni?" p. 47-48

"...pensano senza dubbio che, per il condananto, non ci sia niente né prima né dopo. Questi fogli li trarranno d'inganno. Pubblicati, forse, un giorno, costringeranno il loro spirito ad arrestarsi sulle sofferenze dello spirito; perché proprio di queste non hanno la minima idea. Trionfano al pensiero di potere uccidere senza far quasi soffrire il corpo. Ah, ma non di questo si tratta! Che cos'è il dolore fisico paragonato al dolore morale? Leggi così fatte dovrebbero ispirare orrore e pietà." p. 89

"Il ricorso è una corda che vi tiene sospeso al di sopra dell'abisso, e che si sente cedere a ogni momento sino a che si spezza; è come se il coltello della ghigliottina impiegasse sei settimane a cadere." p. 108

"Il secondino è entrato in cella, si è tolto il berretto, mi ha salutato, si è scusato perché mi disturbava e, addolcendo il meglio che poteva la voce rude, mi ha chiesto che cosa desiderassi da colazione...ho avuto un brivido. Che sia per oggi?" p. 113

"Oh povera bambina mia, ancora sei ore e sarò morto...mi uccideranno. Capisci ciò, Maria? Mi uccideranno a sangue freddo, in grande cerimonia, per il bene della società." p. 130

"Si dice che sia cosa da nulla, che non si soffre, ch'è una fine dolce, che in questo modo la morte è molto semplificata. Eh, che cosa sono questa agonia di sei settimane e questo rantolare di un intiero giorno? Che cosa sono le angosce di questa giornata irreparabile, che passa così lentametne e così in fretta? Che cos'è questa scala di torture che termina sul patibolo?" p. 145