Fabrizio De André

11 gennaio 2004

 

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Circolo Culturale

Setina Civitas

presenta

 

Vita

Parole

Musica

 

seconda edizione

domenica 11 gennaio ore 17,15

Auditorium Comunale Sant'Angelo

Tributo a

Fabrizio De André

Quando le parole diventano immortali

Quando le parole diventano immortali ci si aspetta che qualcuno torni a farle rivivere. Questo è stato il primo pensiero, di chi ha amato il cantautore genovese, quel 11 gennaio 1999 quando la morte ha spento per sempre la sua voce. A questa esigenza interiore ha pensato Franco Abbenda che insieme agli amici Fabio Federici e Carlo Marchionne hanno ideato questo momento setino dedicato a De André. Definito veramente in tanti modi dai critici e dalla gente, Fabrizio sopportava a stento l'etichetta di cantautore; noi oggi vogliamo ricordarlo solo come colui che ha interpretato al meglio il mestiere di parlare alla gente. Seguendo le orme di chi lo ha preceduto, De André ha saputo raggiungere l'essenza stessa dell'umano sentire, alla ricerca continua di un'altra verità, e sempre con il dubbio che "qualcuno dirà che c'è un modo migliore". Si, è vero, l'unico modo per parlare di Fabrizio Cristiano De André (questo il nome di battesimo) sta nelle sue parole, o meglio nelle parole delle sue canzoni. Possiamo citare un verso: "Primavera non bussa lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura, ha le labbra di carne i capelli di grano che paura, che voglia che ti prenda per mano. Che paura, che voglia che ti porti lontano".

De André in una rarissima immagine insieme a De Gregori durante la lavorazione, a quattro mani, di Volume 8° nel 1974. Al centro il batterista Andy Surdi (foto dell'archivio di Sorrisi e Canzoni)

L’Auditorium San Michele di Sezze, per l’occasione pieno come un uovo, ha accolto calorosamente le note di De André, ed è stato un piacere ascoltare Franco Abbenda, Carlo Marchionne e Fabio Federici che, per un momento, hanno fatto rivivere le canzoni del cantautore genovese. La serata, volutamente priva di inutili cerimoniali, è stata arricchita dalla partecipazione

di Gianni Vicari ed Enrico Valleriani, anche loro pronti a ridar vita ai personaggi e alle storie immortalate da Fabrizio.Tutti avrebbero voluto cantare almeno una strofa, molti lo hanno fatto seguendo la voce di Franco, io, da dietro la macchina fotografica, mi sono rivisto cantare la Canzone dell’Amore Perduto, Un Chimico, Andrea….. nei giorni lontani del maggio 1983. Gli

amici se lo ricordano, anche allora, insieme a mio cugino Enrico, al bravissimo Fabio Federici, Peppe De Angelis e Peppe Basile, ora mitico Beppe, le canzoni di De André sono state protagoniste. 

La manifestazione dell’11 gennaio è stata preparata con cura, per il circolo culturale Setina Civitas si è trattato di allargare gli orizzonti, oltre i confini stabiliti dallo statuto, non per invadere altrui campi ma sempre per promuovere un momento di rinascita culturale di cui il nostro paese ha tanto bisogno. Alla fine dell’incontro sono stati tutti d’accordo nel riproporre presto altri momenti creativi, non solo musicali ma aperti ad ogni forma di comunicazione. Si è pensato anche a dar vita ad una serie di appuntamenti estivi all’aperto, coinvolgendo giovani ed appassionati come accadeva qualche anno fa a Sezze. La proposta, frutto di un momento riuscito, parte dal pensiero stesso di De André, che ha sempre inteso farla la cultura e non subirla, come spesso accade con certi mezzi di comunicazione. La difficoltà, e la diffidenza maggiore, Fabrizio l’ha provata nei confronti della televisione, dove è facile manomettere ed alterare contenuti e valori. Ecco dunque la

necessità di partecipare e non essere solo spettatori, di contribuire e non subire passivamente, ritagliandosi uno spazio nuovo per comunicare. Tutto questo è presente nel linguaggio di De André, che anche con la parolaccia, anche con il cattivo esempio esalta il valore dell’individuo sulla massa informe. I perbenisti, i puristi, coloro che sono convinti di essere gli eredi della verità inconfutabile, sono i nemici del pensiero umanista di De André. Da questo l’estrema difesa degli ultimi, dei diritti fondamentali dell’uomo, che, ne sono convinto, passa più per le sue canzoni che per il falso sentimento di compassione spesso riproposto in televisive. Un invito a partecipare alla vita sociale e culturale del paese con lo scopo preciso di offrire punti di riferimento a noi vicini.

Il testamento di Fabrizio

articolo di Francesco Petrianni pubblicato su Nuova Informazione nel gennaio 1999

Anche lui ha attraversato “ l’ultimo vecchio ponte”; senza rancori e senza clamori come i personaggi delle sue canzoni, lasciando proprio per questo qualche emozione ed amarezza in più. Lo ha attraversato evitando che la sfera dell’artista non occupasse quella dell’uomo, ma anche che l’una non tradisse l’altra. Del resto “quando si muore, si muore soli” recita il testo di una delle sue prime, più sorprendenti ed irriverenti canzoni: “ Il testamento”.

E i testi delle sue canzoni sono la fonte più attendibile per la biografia dell’uomo, oltre che dell’artista. Se n’è andato un uomo dello spettacolo, che ha sempre snobbato la spettacolarizzazione e schivato le apparizioni. Con De André scompare uno dei musicisti più rappresentativi di questa metà del secolo che s’appresta al duemila. Rappresentativo di una parte della società, moderna, contemporanea ed attuale, ma che non può essere catalogata nella categoria della norma, dello stereotipo o dello standard.

Una  parte della società, forse non materiale ma culturale,  che resiste ai richiami del conformismo e degli idoli. E De André ha saputo rivolgersi a questa parte, razionale e pensosa, con il linguaggio antico della fiaba. Un cantastorie moderno che rifugge i canoni e i miti della vita moderna. De André esprime ed è egli stesso espressione di aspetti di vita marginali e derelitti. Musicalmente ha seguito percorsi artistici originali e contro corrente, senza confondersi nel vecchiume, anzi innovando una tradizione musicale antica, italiana ed europea. 

De André ci ha raccontato  storie di vita semplici, capaci di attrarre giovani e meno giovani; di offrire una musica non alternativa, ma diversa e contestuale, forte e resistente alle mode dominanti. De André è uno di quelli che “ancora alla luna” vorrebbe “narrare la storia di un fiore appassito a Natale”.  Eppure le sue narrazioni hanno trovato ascolto, contaminando altri generi musicali e lasciandosi contaminare, evocando storie irreali e surreali, perché i testi attingono a realtà distanti dal vivere quotidiano. Quando la canzone italiana  si avviava ad ammantarsi di suoni elettrici , De André proponeva un genere musicale nuovo,  leggero ma colto, popolare ma non folk;  De André esaltava il canto della parola ed il  racconto musicale; si imponeva con  una voce calda e resistente ad una moda insorgente di ritmi e di esibizioni sceniche. Una voce bassa e calda richiamava l’ascolto di generazioni inquiete al ritmo di valzer lenti alla francese,  intrisi di un esistenzialismo laico e religioso alla Sartre ed alla Maritaine . 

Nelle sue ballate sopravvive la memoria storica, infinitamente umana e semplice. Nei  versi delle sue canzoni la divinità acquista connotazioni umane e la passione è il sentimento più spirituale. L’amore della divinità si personalizza e quello umano si santifica in una sintesi tra il sacro e il profano portato a spasso per il paese da Bocca di Rosa simbolo popolare della passione. Mentre il figlio di Maria, che si faceva chiamare Gesù,  passa alla storia come Dio. Ecco!  le canzoni di De André hanno il bello della  semplicità e della credenza  popolare. Parlano di realtà distanti nel tempo e nello spazio, ma attuali nella memoria storica delle persone. Parlano di  ricordi melanconici dal sapore platoniano,  di beni ed amori  perduti che la mente della gente fa fatica a dimenticare per evitare la massificazione. 

Fabrizio se n’è andato per “riconsegnare a Dio la sua anima ed al mondo la sua pelle”,” laddove in pieno giorno risplendono le stelle”. Quasi per onorare un debito contratto con la sua arte,  De André se n’è andato, in silenzio, lungo il sentiero fiorito di quel  Paradiso fatto soprattutto per chi non ha un sorriso.

Francesco Petrianni  

11 gennaio 2004